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266 e 267 c.p.p. – così da ottenere prove utilizzabili per il dibattimento. Si ritiene,<br />
quindi, che quanto detto in proposito dell’applicabilità del divieto di testimonianza sulle<br />
dichiarazioni dell’imputato, così come quanto si dirà a proposito delle dichiarazioni<br />
indizianti, deve trovare applicazione anche qualora non sia direttamente l’ufficiale di<br />
polizia giudiziaria ad agire, essendo le dichiarazioni delle quali si parla raccolte dal<br />
privato investito di tale potere quale longa manus dell’autorità.<br />
2.2. Segue: il divieto ex art. 63 c.p.p.<br />
Con la norma in oggetto, il legislatore ha inteso affiancare al divieto di<br />
testimonianza di cui all’art 62 c.p.p. un’ulteriore prescrizione a tutela del principio<br />
nemo tenetur se detegere. Si ritiene, infatti, che l’art. 63 c.p.p. offra una tutela anticipata<br />
del diritto al silenzio operante in sede di interrogatorio e, più in generale, del diritto di<br />
difesa di chi ancora non rivesta una qualifica processuale.<br />
Alcuni autori hanno sottolineato come l’art. 63 c.p.p. abbia una portata inferiore<br />
rispetto al divieto ex art. 62 c.p.p. poiché dovrebbe riferirsi alle sole dichiarazioni rese<br />
in sede di esame davanti alla polizia giudiziaria o all’autorità giudiziaria da persona che<br />
doveva essere sentita fin dall’inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle<br />
indagini 241 . L’applicazione di questa linea interpretativa ad operazioni undercover<br />
comporta che “alle dichiarazioni rese all’agente di polizia giudiziaria che funga da<br />
simulato acquirente di sostanze stupefacenti non può trovare applicazione il limite di<br />
utilizzabilità previsto dal comma 2 dell’art. 63 c.p.p., poiché non si tratta di<br />
dichiarazioni rese nel corso di un esame o di assunzione di informazioni in senso<br />
proprio e tali dichiarazioni non costituiscono la rappresentazione di eventi già accaduti<br />
o la descrizione di una precedente condotta delittuosa, ma, inserendosi invece in un<br />
contesto commissivo, realizzano la stessa condotta materiale del reato” 242 . Seguendo la<br />
linea ermeneutica privilegiata in tale occasione dalla Suprema corte, l’utilizzo nella<br />
norma del termine “esame” dovrebbe necessariamente ricondurre la prescrizione<br />
all’interno delle dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria in<br />
sede di assunzione di informazioni (art. 362 c.p.p.) o di sommarie informazioni (art. 351<br />
c.p.p.) da chi viene sentito come persona che può riferire circostanze utili ai fini delle<br />
indagini.<br />
241 R. MINNA – A. SUTERA SARDO, op. cit., 141.<br />
242 Cass., 28 aprile 1997, cit.<br />
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