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polizia che parteciparono all’inchiesta e di chiarire le modalità e la natura<br />

dell’operazione che ha condotto al suo arresto. La decisione, oltre a confermare quanto<br />

già detto, introduce un ulteriore profilo la cui importanza si riverbera sulla stessa<br />

testimonianza dell’agente sotto copertura.<br />

Si è ritenuta legittima l’utilizzazione di quanto dichiarato dall’agente tedesco<br />

incaricato dell’operazione nonostante egli – benché citato talvolta come testimone<br />

talvolta come coimputato – non sia mai comparso nel corso del dibattimento. La Corte è<br />

giunta a questa conclusione poiché le dichiarazioni rilasciate dall’agente tedesco, non<br />

suscettibili di chiamare in causa la penale responsabilità del loro autore, corroborarono<br />

gli altri elementi di prova che pesavano a carico del ricorrente 263 .<br />

Un dato incontrovertibile che emerge, dunque, dalla decisione della Corte<br />

consiste nel rilievo che, a prescindere dalla qualifica dell’agente undercover come<br />

coimputato o testimone, la colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulle base<br />

delle sole dichiarazioni dell’infiltrato che non abbiano un riscontro ulteriore. Affinché<br />

un processo possa essere definito “equo” è pertanto necessario che l’attività sotto<br />

copertura abbia, innanzitutto, una rilevanza marginale nella determinazione del<br />

proposito criminoso dell’imputato ed, inoltre, che si siano raccolte attraverso la stessa<br />

prove idonee supportare l’accusa in giudizio che vadano al di là delle dichiarazioni<br />

rilasciate dagli agenti di polizia giudiziaria coinvolti nell’operazione.<br />

In particolare, nel valutare la compatibilità dell’intervento degli agenti con<br />

l’equo giudizio, si è osservato che “l’azione degli agenti provocatori influisce sul<br />

momento genetico del reato, con eventuali conseguenze dal punto di vista della<br />

punibilità tanto dell’agente di polizia quanto delle persone che hanno raccolto le sue<br />

istigazioni, ma non condiziona direttamente la legalità o la correttezza della successiva<br />

procedura” 264 .<br />

Anche in questa pronuncia si è così ritenuto di poter identificare una distinzione<br />

elaborata dalla Corte europea fra due diversi momenti: il primo relativo all’intervento<br />

degli agenti provocatori, il secondo concernente l’utilizzazione processuale delle prove<br />

raccolte. Per quanto attiene al primo profilo, attraverso il raffronto fra le diverse<br />

263 A. TAMIETTI, op. cit., 2922.<br />

264 A. TAMIETTI, op. cit., 2923, in cui l’autore sottolinea, inoltre, come la Corte abbia espresso la massima<br />

secondo la quale l’interesse pubblico alla repressione ed alla prevenzione del crimine non può giustificare<br />

“l’utilizzazione di materiale probatorio ottenuto in conseguenza di una provocazione esercitata dalla forze<br />

di polizia”.<br />

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