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quanto nel considerare l’ambito di applicazione del divieto, a norma dell’art. 62 c.p.p.,<br />
non si deve fare riferimento ad atti, bensì a “dichiarazioni comunque rese nel corso del<br />
procedimento”: pertanto è sufficiente che le dichiarazioni siano rese in pendenza del<br />
procedimento e non prima o al di fuori di esso. “Sotto tale profilo, però, non può<br />
dubitarsi che l’attività conoscitiva degli agenti operanti, successiva all’acquisizione<br />
della notitia criminis sia attività di indagine che si inserisce nella fase procedimentale<br />
delle indagini preliminari” 229<br />
Seguendo questo percorso ermeneutico, si deve sostenere che l’ampiezza del<br />
disposto dell’art. 62 c.p.p. tuteli sia il diritto al silenzio della persona sottoposta ad<br />
indagine sia l’obbligo di documentazione formale, in quelle situazioni in cui egli con<br />
l’inganno sia indotto a collaborare.<br />
La scelta di non applicare il divieto de quo sembra invece orientato più che ad<br />
una fedele interpretazione della lettera – nonché dello spirito – della norma, ad un<br />
sommesso rigurgito inquisitorio memore di risalenti quanto autorevoli teorie secondo<br />
cui “l’imputato è il principe della prova […] non v’è nel processo penale una prova più<br />
preziosa della testimonianza dell’imputato” 230 . Nel nostro attuale sistema processuale, al<br />
contrario, la norma in esame pare acquisire una valenza pratico-sistematica<br />
fondamentale come norma di chiusura di una serie di garanzie volte ad evitare che<br />
l’indagato collabori suo mal grado alla formazione dell’impianto accusatorio.<br />
In particolare, questa norma, proprio nelle azioni undercover in cui l’indagato è<br />
spinto a collaborare con l’inganno, deve spiegare la sua funzione garantista.<br />
Certamente, gli agenti dovranno utilizzare questo particolare mezzo investigativo per<br />
rintracciare le prove del fatto dall’interno dell’organizzazione criminale, ma la loro<br />
attività non deve concretizzarsi nell’aggiramento di norme di garanzia, quale<br />
l’inviolabile diritto al silenzio dell’indagato.<br />
Inoltre, tali dichiarazioni non potrebbero certo essere configurate come<br />
dichiarazioni spontanee, dal momento che le stesse presuppongono che il dichiarante sia<br />
sempre a conoscenza della qualifica soggettiva del suo interlocutore, così da potersi<br />
autodeterminare in relazione ad una sua volontaria collaborazione con gli organi<br />
investigativi 231 .<br />
229 Cass. 24. Luglio 1997, Console, cit., 3016.<br />
230 F. CARNELUTTI, Lezioni sul processo penale, Roma, 1946, 235.<br />
231 N. APA, Note in tema di testimonianza dell’agente provocatore, in Giur. it., 1999, 140.<br />
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