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Nella richiamata sentenza Console, la Suprema corte è andata oltre il<br />

riconoscimento dell’applicabilità del divieto ex art. 62 alle ipotesi di operazioni sotto<br />

copertura, elaborando un importante distinzione. Non possono, così, formare oggetto di<br />

testimonianza “le dichiarazioni rappresentative di precedenti fatti e non anche le<br />

condotte e dichiarazioni che accompagnano tali condotte chiarendone il significato,<br />

ovvero le dichiarazioni programmatiche di future condotte. Rispetto a tali condotte e<br />

dichiarazioni che hanno la portata di fatti storici, il divieto ex art. 62 c.p.p. non può<br />

operare, e la testimonianza dell’agente provocatore assume valore di rappresentazione<br />

di fatti storici, e non di rappresentazione di dichiarazioni a loro volta rappresentative di<br />

fatti storici” 232 .<br />

Questa ricostruzione ha come fondamento l’idea che il divieto di testimonianza,<br />

così come stabilito dal legislatore, debba rivolgersi a quelle dichiarazioni che abbiano<br />

una portata confessoria o comunque descrittiva di antefatti rispetto a ciò che<br />

materialmente si sta svolgendo dinnanzi ai loro occhi e dei quali ha avuto una diretta<br />

percezione e conoscenza 233 . Questa precisazione consente certamente di distinguere le<br />

dichiarazioni concernenti fatti verificatisi in precedenza 234 , sui quali sicuramente opera<br />

il diritto al silenzio, dalle dichiarazioni programmatiche nonché da tutte quelle<br />

affermazioni che, nell’accompagnare il materiale svolgimento del fatto, possono<br />

acquisire una valenza probatoria.<br />

Tuttavia, in dottrina, non è mancato chi ha fermamente criticato la ricostruzione<br />

proposta dalla Corte. La sentenza non ha convinto, in particolare, in punto di<br />

motivazione in quanto “si limita a distinguere la natura delle dichiarazioni ma non<br />

esplica i motivi per cui quelle ritenute inutilizzabili non lederebbero il diritto di difesa<br />

dell’indagato. Il tutto si risolve, dunque, in un assioma, la cui motivazione altro non è<br />

che una tautologia del sotteso principio”. Pur dovendosi riconoscere le peculiarità date<br />

dal fatto che in operazioni sotto copertura il soggetto non è a conoscenza della qualifica<br />

rivestita da chi riceve le dichiarazioni, si ritiene che l’eccezionalità del mezzo<br />

232 Cass., 24 luglio 1997, cit., 3016.<br />

233 Per una dettagliata ricostruzione in chiave comparatistica basata sui risultati cui è pervenuta la<br />

giurisprudenza nordamericana e inglese sulle rule against hearsay, vedi B. TROTTA, op. cit., 3018.<br />

234 Non può non tenersi in considerazione che l’indagato, non sapendo di rivolgersi alla polizia<br />

giudiziaria, potrebbe anche aver mentito per ottenere un maggior profitto. Si pensi al caso di uno<br />

spacciatore che per mera vanteria o per ottenere un miglior prezzo ostenti collegamenti con i principali<br />

cartelli internazionali o con organizzazioni criminali senza in realtà esserne parte. Questa eventualità non<br />

fa che rafforzare l’idea che una “confessione” ricavata implicitamente va ben oltre le finalità dello<br />

strumento undercover e che, come avviene del resto per le stesse intercettazioni telefoniche ed ambientali,<br />

le dichiarazioni dell’indagato in un ambito non procedimentale vadano contestualizzate e comprovate.<br />

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