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LE FRASCHETTE - Associazione Partigiani Cristiani

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slavi ai quali non si sapeva quale ricovero offrire. La gestione del campo non<br />

fu trasferita però alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza che pure<br />

aveva il compito di gestire l’internamento. Nell’estate del 1942 la decisione<br />

fu presa e nell’ottobre dello stesso anno iniziarono ad arrivare i primi internati<br />

civili al campo. La soluzione “all’italiana” della gestione impropria del<br />

campo da parte dell’Ispettorato Generale dei servizi di guerra, provocò la<br />

mancata corresponsione agli internati del sussidio giornaliero, la cosiddetta<br />

“mazzetta” di £.6,50 al giorno a persona. Quel sussidio aveva permesso agli<br />

internati di altri campi di organizzare addirittura mense cooperative, come<br />

sull’isola di Ventotene, o comunque di approvvigionarsi direttamente di generi<br />

di prima necessità. Al campo Le Fraschette fu invece la fame più nera. Si<br />

mangiava quel po’ di brodaglia preparata dai militari. All’interno del campo<br />

c’era, come detto, un migliaio di anglo-maltesi che riceveva dalla Legazione<br />

svizzera della Croce Rossa in rappresentanza del Governo britannico, visite e<br />

pacchi alimentari. Per tutti gli internati operò fattivamente il vescovo di Alatri,<br />

mons. Edoardo Facchini.<br />

Un terzo gruppo di internati era costituito dai cosiddetti “allogeni”, italiani<br />

della Venezia Giulia, della Slovenia e della Croazia. Erano considerati cittadini<br />

italiani “diversi”, inseriti in un processo di assimilazione. Furono vittime<br />

di tutte le misure coercitive messe in atto dal fascismo.<br />

Nell’ultima fase di vita del campo, a partire cioè dalla tarda primavera del<br />

1943, a Le Fraschette furono portati anche gli internati dei campi del sud, evacuati<br />

dalle zone di guerra. A Le Fraschette arrivarono gli internati di Ponza e<br />

Ventotene. A partire dal 25 luglio gli internati italiani generici, comunisti,<br />

anarchici, cominciarono ad essere liberati. Gli slavi e gli “allogeni” rimasero<br />

fino all’8 settembre.<br />

Dal luglio del 1943, provvidenzialmente, a Le Fraschette iniziarono ad operare<br />

le Suore Giuseppine provenienti dalla Casa di Veroli, che dettero un gran<br />

contributo al miglioramento delle condizioni di vita degli internati. Il 12 maggio<br />

del 1943 giunse in visita al campo il vescovo di Trieste, preoccupato per<br />

le condizioni di vita dei suoi diocesani.<br />

Il campo non era stato concepito per una popolazione civile, ma rispondeva ai<br />

requisiti di un campo militare. Alla data del 15 luglio 1943 su 1162 dalmati<br />

presenti al campo, si registrava la presenza di circa 500 bambini, quasi tutti<br />

orfani. Immaginate quali difficoltà presentava la vita del campo! Molti di questi<br />

ragazzi furono salvati dalla Chiesa. Il Nunzio apostolico presso l’Italia,<br />

mons. Riberi, si impegnò a ricoverare presso collegi una gran parte di questi<br />

ragazzi.<br />

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