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LE FRASCHETTE - Associazione Partigiani Cristiani

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interrogatorio e nuova traduzione al locale carcere giudiziario. … Il 15<br />

marzo 1943 ci portarono con degli autocarri alla stazione ferroviaria di<br />

Gorizia.<br />

Eravamo circa 150 donne, salimmo su un treno speciale cellulare. Non avevamo<br />

idea di dove saremmo andate. Rinchiuse in cellette, in verità a me fu<br />

concesso di rimanere nel corridoio, il treno partì verso le due del pomeriggio<br />

e, salvo una breve sosta in aperta campagna dopo Mestre, viaggiammo<br />

ininterrottamente fino al mezzogiorno dell’indomani, giungendo a<br />

Frosinone. Di qui, sul camion, dopo un non lungo tragitto, arrivammo al<br />

campo di Le Fraschette, nel comune di Alatri. Durante l’intero viaggio nessuno<br />

ci diede da mangiare. Nel frattempo gli uomini vennero internati nel<br />

campo di Sdraussina – Poggio Terzarmata – nella stessa provincia di Gorizia,<br />

a pochi chilometri da casa e lì rimasero fino all’8 settembre 1943.<br />

Il campo di Le Fraschette era collocato in una conca disabitata, circondata<br />

da monti, fra i quali primeggia il Monte Fumone. Era un campo enorme,<br />

destinato ad accogliere migliaia di prigionieri. Eravamo quasi solo donne;<br />

soprattutto slovene, croate e greche. C’erano anche alcune famiglie americane<br />

sistemate in baracche-appartamento. Il vitto era impossibile: un mestolo<br />

di brodaglia e un etto di pane al giorno. E non vi era solo il problema della<br />

scarsità ma anche quello della sporcizia rivoltante dei luoghi dove il cibo<br />

veniva preparato... Molte ricevevano dei pacchi dai parenti, ma noi non avevamo<br />

nessuno, fuori, che ci potesse aiutare. Spaventose soprattutto le condizioni<br />

delle croate e delle greche, alle quali non arrivava mai nulla, tanto da<br />

essere costrette ad aggirarsi attorno ai bidoni della spazzatura della cucina<br />

onde recuperare bucce di patate e qualche altro scarto. Invidiabili invece le<br />

condizioni delle famiglie americane, le quali ricevevano abbondanti pacchi<br />

tramite la Croce Rossa.<br />

Alle gravi carenze alimentari suppliva quel minimo di solidarietà umana (che<br />

si esprimeva anche spontaneamente) ma che, data l’entità del numero delle<br />

internate bisognose, serviva ben poco a lenire le condizioni generali.<br />

Comunque malgrado ciò, non si verificarono, che io sappia, casi di decesso<br />

per denutrizione. Il campo era comandato da carabinieri, con servizio di<br />

guardia svolto dai militari dell’esercito. All’interno, fra la massa internata, si<br />

aggiravano dei “questurini” a controllo degli umori del campo. Nel complesso<br />

posso dire che il comportamento del comando era corretto, non animato<br />

da ostilità verso le recluse, senza angherie. Migliore ancora quello dei militari<br />

in servizio, con i quali si stabilirono rapporti quasi cordiali, se non addirittura<br />

di complicità, come quando tolleravano le uscite clandestine delle<br />

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