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LA FLORA ESOTICA LOMBARDA - Comune di Milano

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INTRODUzIONE E ASPETTI gENERALI INTRODUzIONE E ASPETTI gENERALI<br />

dopo questo evento la presenza aliena nella vegetazione sinantropica assume il potere <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare<br />

drammaticamente bio<strong>di</strong>versità e paesaggio. Per tale motivo si è convenuto <strong>di</strong> sud<strong>di</strong>videre le aliene, dal<br />

punto <strong>di</strong> vista storico, in due categorie: archeofite, introdotte prima del 1492 e neofite, da quell’anno<br />

in poi. Vi è poi una categoria <strong>di</strong> piante delle quali non si è ancora certi della loro origine, se cioè si tratti <strong>di</strong><br />

autoctone o <strong>di</strong> archeofite, che qui chiamiamo amaurogene o alloctone dubbie (inglese cryptogenic,<br />

Carlton, 1996).<br />

IL SUCCESSO DELLE ALIENE<br />

Una pianta esotica, per quanto perfettamente acclimatabile, non ha alcuna possibilità <strong>di</strong> affermarsi<br />

extra patriam se incontra un contesto ambientale sufficientemente integro, cioè se lo spazio<br />

teoricamente <strong>di</strong>sponibile è occupato dalla normale vegetazione autoctona (foresta, bosco, pascolo,<br />

prato naturale ecc.). Tuttavia, anche quando le cose non stanno così perché l’ambiente è degradato,<br />

il successo dell’alloctona non può essere dato per certo. Le barriere eco-biologiche che la specie<br />

deve superare sono infatti numerose (6 le principali secondo Richardson et al., 2000); tra queste la più<br />

importante è la barriera riproduttiva, cioè la capacità della pianta <strong>di</strong> arrivare a riprodursi sessualmente<br />

e/o vegetativamente nella nuova situazione in cui si viene a trovare. Nel caso positivo, si verificano<br />

due possibilità: la specie forma uno o pochi popolamenti locali <strong>di</strong> breve durata per poi scomparire ed<br />

eventualmente ricomparire solo a seguito <strong>di</strong> un nuovo “inoculo” (è il caso più frequente in esotiche<br />

coltivate che possono sfuggire a più riprese senza mai raggiungere un’autonomia <strong>di</strong>ffusiva). Tali aliene<br />

sono definite casuali, ma in questa categoria ricadono pure quelle incapaci <strong>di</strong> riprodursi a tutti gli<br />

effetti (per esempio il pomodoro) e i così detti relitti <strong>di</strong> coltura (spesso bambù), <strong>di</strong> norma cloni che<br />

permangono nel sito <strong>di</strong> coltivazione dove possono estendersi vegetativamente entro i limiti topograficoambientali<br />

loro consentiti, senza mai arrivare a fondare una popolazione. La seconda possibilità prevede<br />

la stabilizzazione dell’esotica, vale a <strong>di</strong>re la sua capacità <strong>di</strong> inserirsi stabilmente nella flora formando<br />

popolazioni che si perpetuano per via sessuale e/o vegetativa. È evidente che l’impatto alieno sulla<br />

bio<strong>di</strong>versità e sul paesaggio è connesso essenzialmente a quest’ultimo caso; qui però, secondo le<br />

accezioni più recenti (Richardson et al., 2000; Pyšek et al., 2004), occorre <strong>di</strong>stinguere le naturalizzate,<br />

che, pur inse<strong>di</strong>andosi nel territorio, non assumono comportamento invasivo in quanto l’incremento<br />

dei loro popolamenti si verifica in prevalenza a margine delle vecchie generazioni e su brevi <strong>di</strong>stanze,<br />

dalle invasive, capaci in breve tempo <strong>di</strong> ricoprire superfici estese sia per via vegetativa sia per seme.<br />

Le invasive perenni (legnose ed erbacee) abbinano spesso le due strategie (per es. Ailanthus altissima,<br />

Solidago gigantea), mentre le annuali affidano tutto alla <strong>di</strong>spersione dei semi (o <strong>di</strong>sseminuli); entrambe<br />

le categorie sono accomunate dalla capacità <strong>di</strong> fondare nuove popolazioni su <strong>di</strong>stanze spesso gran<strong>di</strong>,<br />

in ciò giocando un ruolo essenziale la <strong>di</strong>ffusione per seme. Non che le naturalizzate non possiedano<br />

semi (o <strong>di</strong>sseminuli) adeguatamente attrezzati per il trasporto a <strong>di</strong>stanza (ali, pappi, uncini ecc.), ma<br />

nel loro caso la probabilità che un <strong>di</strong>sseminulo longi<strong>di</strong>sperso riesca a innescare una nuova popolazione<br />

è decisamente inferiore. Ciò è da porsi in relazione a fattori sia endogeni sia esogeni, fra cui la vitalità<br />

del seme, che può essere statisticamente inferiore a quella <strong>di</strong> un’invasiva, oppure i limiti ecologici della<br />

specie; riguardo all’ultimo punto, le naturalizzate sono me<strong>di</strong>amente più esigenti sul piano ecologico,<br />

molte <strong>di</strong> loro essendo legate, per esempio, al degrado boschivo (Lupinus polyphyllus) o a habitat umi<strong>di</strong><br />

particolari (Hypericum mutilum). Per contro, le invasive sono prevalentemente “<strong>di</strong> bocca buona”, cioè ad<br />

ampio spettro ecologico rispetto alla maggioranza dei fattori ambientali (umi<strong>di</strong>tà, aci<strong>di</strong>tà e nutritività<br />

del substrato, humus, granulometria e ossigenazione, luce, temperatura, continentalità) e possono<br />

quin<strong>di</strong> propagarsi con successo negli ambiti più <strong>di</strong>sparati del degrado.<br />

<strong>LA</strong> LOMBARDIA E IL SUO TERRITORIO<br />

La regione Lombar<strong>di</strong>a si estende su un territorio <strong>di</strong> poco più <strong>di</strong> 23˙800 Km 2 e presenta una notevole<br />

eterogeneità territoriale dovuta alle sue caratteristiche geografiche, geolitologiche, morfologiche<br />

e climatiche. Si possono in<strong>di</strong>viduare alcuni settori fondamentali: sistema appenninico, bassa e alta<br />

pianura, fascia collinare pedemontana, sistemi montuosi prealpini e sistemi montuosi alpini esterni e<br />

interni. Questa complessità si traduce in una forte escursione altitu<strong>di</strong>nale (da poco sopra il livello del<br />

mare a oltre 4˙000 m) e in una articolata rete idrografica.<br />

L’Appennino pavese, che costituisce una propaggine settentrionale <strong>di</strong> quello tosco-emiliano, ha una<br />

superficie <strong>di</strong> circa 1˙100 km 2 . Le unità litostratigrafiche che compongono i rilievi dell’Oltrepò sono<br />

prevalentemente <strong>di</strong> origine se<strong>di</strong>mentaria marina: calcareniti, calcari marnosi, marne, argilliti e arenarie<br />

<strong>di</strong>sposte in alternanze stratigrafiche <strong>di</strong>fferenti.<br />

Il settore lombardo della Pianura Padana è caratterizzato dalla ripartizione tra alta e bassa pianura, sulle<br />

quali si sovrappongono le gran<strong>di</strong> valli fluviali del Ticino e dell’Adda, i terrazzi fluvioglaciali e i rilievi<br />

morenici. La bassa pianura alluvionale è composta da se<strong>di</strong>menti fini e presenta una falda acquifera<br />

superficiale, se non subaffiorante. Essa è separata dall’alta pianura dalla fascia dei fontanili. Le vallate dei<br />

fiumi maggiori (Ticino e Adda) sono incise nella pianura e si raccordano al piano generale attraverso<br />

scarpate più o meno ripide che spesso ospitano gli ultimi lembi <strong>di</strong> vegetazione forestale naturale. L’alta<br />

pianura è composta da materiali più grossolani e drenanti; qui la falda acquifera si approfon<strong>di</strong>sce. L’alta<br />

pianura si raccorda al complesso prealpino attraverso i sistemi delle colline moreniche del Verbano,<br />

della Brianza, della Franciacorta e dell’anfiteatro benacense. In tutta la porzione planiziale e collinare<br />

della Lombar<strong>di</strong>a, costituita da substrati sciolti, la reazione del suolo <strong>di</strong>pende dalla litologia del bacino<br />

idrografico a monte: si osserva così un gra<strong>di</strong>ente ovest-est dai substrati a pH basso, facenti capo al<br />

bacino del Ticino, a quelli interme<strong>di</strong> del bacino dell’Adda, fino a quelli a pH elevato della pianura<br />

orientale. Questa è la zona della Lombar<strong>di</strong>a che è stata maggiormente interessata dall’attività umana,<br />

da un lato con il <strong>di</strong>sboscamento e la messa in coltura <strong>di</strong> quasi tutta la superficie <strong>di</strong>sponibile, dall’altro<br />

con lo sviluppo delle gran<strong>di</strong> città e della rete dei trasporti su gomma e su rotaia.<br />

Il sistema prealpino presenta una prima serie <strong>di</strong> rilievi incisi in se<strong>di</strong>menti teneri ed ero<strong>di</strong>bili (flysch),<br />

ben rappresentati soprattutto tra i fiumi Adda e Oglio, in provincia <strong>di</strong> Bergamo; a nord <strong>di</strong> questi, le<br />

Prealpi propriamente dette sono fondamentalmente costituite da formazioni calcareo-marnose, a cui<br />

seguono le formazioni calcareo-dolomitiche, massicce e compatte, che costituiscono i gran<strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici<br />

del sistema prealpino (grigne, Pizzo Arera e altri). A ovest del lago <strong>di</strong> Como le formazioni carbonatiche<br />

si riducono fino a scomparire in corrispondenza del Lago Maggiore; qui le Prealpi sono rappresentate<br />

principalmente da rilievi <strong>di</strong> natura silicea.<br />

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