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Greggi d'ira - Sardegna Cultura

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correndogli dietro. Anche Pietro gli andò incontro e si<br />

abbracciarono forte, senza dire una parola. Si separarono<br />

con uno strappo. Pascaleddu corse verso le pecore e prese<br />

a fischiare con le dita riempendo la valle di sibili che sembravano<br />

pianti. Pietro risalì lungo il canale ripido e ciottoloso,<br />

voltandosi ogni tanto. Ma non poteva vedere più<br />

niente, gli giungevano solo i fischi di Pascaleddu, i belati<br />

delle pecore e gli altri suoni della valle. Piangeva anche<br />

lui.<br />

A casa la valigia era già pronta.<br />

– È molto triste Pascaleddu? – chiese Giovanna.<br />

– È un uomo ormai e capisce che se avrò fortuna staremo<br />

bene tutti.<br />

Che pena per Pietro guardare il volto consumato di<br />

sua madre!<br />

– Vado a salutare gli amici, – disse e uscì.<br />

I vicini gli fecero festa e gli offrirono da bere.<br />

Al momento del commiato le donne l’accompagnavano<br />

alla porta e gli gridavano «buona fortuna».<br />

– Mi hanno riempito di benedizioni, – disse a sua madre<br />

quando rientrò.<br />

– Una parola di conforto è molto in certi momenti, –<br />

rispose Giovanna.<br />

Parlarono per un po’, dicendo più con gli sguardi che<br />

con le parole. Poi cercarono di riposare.<br />

Alle otto del mattino gli emigranti riempirono la corriera.<br />

Nella piazza c’erano i familiari dei partenti; Pietro<br />

non aveva voluto che sua madre lo accompagnasse. Le mani<br />

pendevano a grappoli dai finestrini per un’altra stretta.<br />

Le raccomandazioni s’incrociavano. Quando la corriera si<br />

mosse, gli ultimi saluti furono gridati. Qualcuno corse agi-<br />

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tando la mano. Poi nella piazza tornò un grande silenzio. La<br />

folla si disperse e ciascuno portò a casa la propria pena.<br />

IX<br />

All’arrivo della corriera la piazza del paese si riempiva<br />

di gente. Approdavano lì anche quelli che non attendevano<br />

nessuno, curiosi soltanto di vedere e ascoltare. Il segnale<br />

solitamente lo dava Placido Musio che, quando la tromba<br />

risuonava in prossimità dell’abitato, scendeva di corsa<br />

dal vicolo della caserma urlando: – Bona milia! Bona milia!<br />

Nella piazza i ragazzi lo accoglievano vociando, ma<br />

lui, stringendosi i gambali sotto il braccio, andava appresso<br />

al conducente della corriera, il quale, spesso, cercava<br />

di scacciarlo gridandogli: – Passa via!<br />

Placido allora si fermava a parlare coi passeggeri in<br />

transito, affacciati ai finestrini.<br />

– Non andate in Germania. – diceva con gli occhi<br />

sbarrati e il viso più magro del solito. – Vi cambiano il<br />

cuore e vi strappano i ricordi dalla testa, a uno a uno... io<br />

mi sono salvato... mi sono tolto i gambali...<br />

Qualcuno faceva dei gesti per indicare che Placido non<br />

era in sé e i passeggeri sorridevano mestamente.<br />

Quando la corriera partiva, la gente si rattristava e<br />

Placido continuava a disperarsi ripetendo i suoi ammonimenti.<br />

Faceva sempre così da quando era tornato dalla<br />

Germania con un foglio che lo dichiarava non più idoneo<br />

al lavoro di fabbrica. Quel giorno salì sul muraglione della<br />

piazza e incominciò a gridare: – Guardate! La tromba<br />

non suona più...<br />

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