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Di Napoli il seno cratero esposto agli occhi et alla mente de' curiosi

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Vesuvio, essendo generale dell’armata, e vi perdé miserab<strong>il</strong><strong>mente</strong> la vita, soffogato dal fumo e d<strong>alla</strong> cenere,<br />

come racconta Plinio <strong>il</strong> nipote. Fu un tempo la d<strong>et</strong>ta città con titolo di contea, facendone menzione san Gregorio<br />

Magno, libro II, epistola 30°. La sua chiesa fu già come si disse unita con la cumana, benché si ritrova anche<br />

memoria di suoi vescovi distinti, come d’un Benenato che si prese denari da san Gregorio per fabricare un<br />

castello, e poi convertendoli in uso proprio, fu perciò dal pontefice deposto, scrivendone al Conte di Mi<strong>seno</strong>.<br />

Hebbe san Sossio, compagno di san Gennaro diacono suo cittadino, martirizzato da <strong>Di</strong>ocleziano, per prot<strong>et</strong>tore,<br />

e sotto [18] lo stesso imperatore Zosimo Eleuterio, <strong>et</strong> Anzia la madre, benché <strong>il</strong> Baronio dica essere d<strong>et</strong>ti santi<br />

non di Mi<strong>seno</strong> ma di Messapia. Fu la d<strong>et</strong>ta città prima assediata e danneggiata da’ longobardi sotto Sicardo, indi<br />

da’ saraceni nel 850 distrutta e menati cattivi i miseri cittadini. Vi si vede ancora parte della 6 sua Chiesa<br />

Vescovale, dalle di cui rovine fu cavato dopo 60 anni da Attanasio monaco e Pi<strong>et</strong>ro subdiacono <strong>il</strong> sacro<br />

deposito di san Sosio suo padrone e tutelare, e portato in San Severino di <strong>Napoli</strong>, come dissimo parlando di<br />

quella chiesa, col consenso di Stefano vescovo di <strong>Napoli</strong> e Giovanni vescovo di Cuma.<br />

TAVOLA [III]: “Veduta del Monte Mi<strong>seno</strong> e Mare Morto. All’<strong>il</strong>lustrissimo signor don Pi<strong>et</strong>ro Tovar marchese di San Marcellino”.<br />

Vi è in questi lidi un luogo d<strong>et</strong>to <strong>il</strong> Mare Morto o Placido, per entrarvi una lingua di mare e favvi come<br />

un lago abbondante di pesci, che vi entrano e poi per certe machine non possono uscire.<br />

Fu un tempo Mi<strong>seno</strong> d<strong>et</strong>to infame per li spessi naufragj, forse prima d’essere stato <strong>il</strong> porto d’Agrippa.<br />

Su la cima del monte vi era una torre d<strong>et</strong>ta faro o linterna per far lume a’ naviganti, accioché la notte<br />

driz[19]zassero la prora a porto sicuro; ora vi è una torre di guardia per li corsari. Furono i suoi ricci o echini<br />

6 Editio princeps: delle.<br />

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