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Di Napoli il seno cratero esposto agli occhi et alla mente de' curiosi

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vera bocca della Grotta della Sib<strong>il</strong>la, da dove passava ella ed al Tempio d’Apollo ed al Lago d’Averno per<br />

luoghi sotterranei, di cui diremo, benché vi siano le sue difficoltà. Famosa fu ancor Cuma per le storie, per<br />

esservisi refugiati i Tarquinj discacciati da Roma, ove morì <strong>il</strong> Superbo; per tenervi, Tot<strong>il</strong>a e Teja posti i tesori<br />

de’ goti, e le sue forze Nars<strong>et</strong>e, e per gli altri memorab<strong>il</strong>i fatti di guerra de’ longobardi e de’ normanni. Fu<br />

colonia e municipio, ed hebbe pref<strong>et</strong>to da’ romani. Sono celebri presso gli antichi i vasi cumani, i suoi pesci<br />

glauci, o paguri, i suoi broccoli, d<strong>et</strong>ti da’ latini cimæ, ed <strong>il</strong> suo lino; le donne onobate, che erano [12] le adultere<br />

poste sopra un sasso a vista de’ popoli, e poi sopra un asino al roverscio per renderle infami. Vogliono che<br />

nell’antro della Sib<strong>il</strong>la, che cominciando sotto Cuma terminava al Lago d’Averno, Nars<strong>et</strong>e con m<strong>il</strong>itar<br />

stratagemma havesse posto molti legni per sostenerlo, ed indi dato fuoco a foglie d’alberi, come se facesse una<br />

mina, vi prendesse la città difesa da’ goti. Questa grotta vogliono che terminava ad Averno, e che s’incontrasse<br />

con quella fatta in Averno stesso da Coccejo, ma perché quella tira più tosto verso Baja che verso Cuma, par<br />

che vi sia difficoltà; ma perché non per tutto si camina per la terra cadutavi, non si sa se torcendo tornasse a<br />

finire in Cuma: è ella di altezza di 12 palmi incirca, e larga da 3 passi, si camina per 270 passi, e si ritrova una<br />

picciola strada cavata nel monte di 50 passi, che termina a più stanze, una delle quali fatta a volta mostra esser<br />

stata dipinta a fresco, e le par<strong>et</strong>i incastrate di pi<strong>et</strong>re e conche marine di varj colori, col suolo lavorato a musaico.<br />

Vi sono bagni d’acque chiare, ed in uno de’ camerini [13] è la strada verso <strong>il</strong> monte, ma impedita d<strong>alla</strong> terra<br />

cadutavi. Giustino Martire dice esser stato in questa grotta, con havervi osservato i bagni, ove si lavava la<br />

Sib<strong>il</strong>la, la catedra, dove dava le risposte degli oracoli, e che a suo tempo vi era un sepolcro di bronzo con le<br />

ceneri della sud<strong>et</strong>ta Sib<strong>il</strong>la, onde pare che non sia tutto favoloso ciò che dice Virg<strong>il</strong>io, che Enea fusse venuto al<br />

Tempio d’Apollo in Cuma, ove era l’antro della Sib<strong>il</strong>la, chiamando Euboici quei lidi.<br />

Ritornando a Cuma, quivi morì P<strong>et</strong>ronio, fam<strong>il</strong>iare di Nerone. La Chiesa Madre, allora che fu cristiana,<br />

era dedicata a San Massimo, i suoi vescovi haveano ancora la giurisdizione di Mi<strong>seno</strong> e di molti di essi si trova<br />

fatta menzione presso i Conc<strong>il</strong>j, e gli scrittori, fra’ quali sono Liberio, Rinaldo, Scaramuzza, Adeodato, Barbato,<br />

Pi<strong>et</strong>ro, Massenzio, Giovan Leone, un altro Giovanni Mi<strong>seno</strong> ed altri. <strong>Di</strong>strutta la città, fu unita la giurisdizione<br />

ecclesiastica all’Arcivescovale di <strong>Napoli</strong>. Hebbe i santi martiri, che furono Massimo, Valeriano, Abbundio e<br />

Fedele, suoi [14] cittadini, e vi era <strong>il</strong> corpo di santa Giuliana da Nicomedia, ove fu martirizata, portata quivi da<br />

Sofia, matrona romana, e, distrutta Cuma, trasferita nel monistero di Donnaromita, di cui celebrano con<br />

l’officio la traslazione quelle sacre vergini, benché non si sappia ove sia <strong>il</strong> sacro corpo, come si disse parlando<br />

di quel monistero, essendo trasportato <strong>il</strong> corpo di san Massimo nella Cattedrale, ove si adora.<br />

Tra Mi<strong>seno</strong> e Cuma è la d<strong>et</strong>ta Palude Acherusia, d<strong>et</strong>ta Coluccia, oggi Fusaro, ove si matura <strong>il</strong> lino e vi si<br />

fa pesca di cevali ed angu<strong>il</strong>le, standovi in mezo come un’isol<strong>et</strong>ta con casa di pescadori. La confondono alcuni<br />

col Lago d’Averno, ma è in verità distinta; può ben havervi corrispondenza sotterranea. Qui presso era la v<strong>il</strong>la<br />

del ricchissimo Serv<strong>il</strong>io Vaccia, che fuggendo d<strong>alla</strong> tirannia di Tiberio vi si seppellì nell’ozio, dicendo di sé<br />

stesso: “Hic Vaccia situs est”, e dando luogo alle genti di dire coi sentimenti di Seneca: “O Vaccia tu solus scis<br />

vivere”. Vi havea costui fatte due grotte, una freddissima, che non riceveva mai <strong>il</strong> sole, per l’està, l’al[15]tra<br />

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