TAVOLA [II]: “Veduta dell’Arco Felice. All’<strong>il</strong>lustrissimo signor don Giacomo Pignatelli de’ principi di Monte Corvino”. La sua porta fu situata nella str<strong>et</strong>tezza d’un colle altissimo adeguata con fabrica laterica, d<strong>et</strong>ta oggi Arco Felice, con mattoni di considerab<strong>il</strong> grandezza; <strong>il</strong> muro è grosso 50 piedi d’archit<strong>et</strong>tura, alto 70, <strong>il</strong> vano dell’arco è piedi 20 ed un terzo. Vi passava per mezo la Via Appia, di [11 4 ] cui in parte in parte se ne ritrovano vestiggj, particolar<strong>mente</strong> quando si seccano in parte l’acque di Licola. Vicino a d<strong>et</strong>to arco v’è una grotta nella massaria di Nicolò Monaco, che fu già conserva d’acque. Tutto in somma <strong>il</strong> territorio è pieno di edificj rovinati, e vi si ritroveriano e statue e colonne, con cose peregrine se vi si facessero d<strong>il</strong>igenze. Sotto di Cuma si stima esser la 4 Tra la pagina 11 e la precedente è inserita la tavola [II]. 8
vera bocca della Grotta della Sib<strong>il</strong>la, da dove passava ella ed al Tempio d’Apollo ed al Lago d’Averno per luoghi sotterranei, di cui diremo, benché vi siano le sue difficoltà. Famosa fu ancor Cuma per le storie, per esservisi refugiati i Tarquinj discacciati da Roma, ove morì <strong>il</strong> Superbo; per tenervi, Tot<strong>il</strong>a e Teja posti i tesori de’ goti, e le sue forze Nars<strong>et</strong>e, e per gli altri memorab<strong>il</strong>i fatti di guerra de’ longobardi e de’ normanni. Fu colonia e municipio, ed hebbe pref<strong>et</strong>to da’ romani. Sono celebri presso gli antichi i vasi cumani, i suoi pesci glauci, o paguri, i suoi broccoli, d<strong>et</strong>ti da’ latini cimæ, ed <strong>il</strong> suo lino; le donne onobate, che erano [12] le adultere poste sopra un sasso a vista de’ popoli, e poi sopra un asino al roverscio per renderle infami. Vogliono che nell’antro della Sib<strong>il</strong>la, che cominciando sotto Cuma terminava al Lago d’Averno, Nars<strong>et</strong>e con m<strong>il</strong>itar stratagemma havesse posto molti legni per sostenerlo, ed indi dato fuoco a foglie d’alberi, come se facesse una mina, vi prendesse la città difesa da’ goti. Questa grotta vogliono che terminava ad Averno, e che s’incontrasse con quella fatta in Averno stesso da Coccejo, ma perché quella tira più tosto verso Baja che verso Cuma, par che vi sia difficoltà; ma perché non per tutto si camina per la terra cadutavi, non si sa se torcendo tornasse a finire in Cuma: è ella di altezza di 12 palmi incirca, e larga da 3 passi, si camina per 270 passi, e si ritrova una picciola strada cavata nel monte di 50 passi, che termina a più stanze, una delle quali fatta a volta mostra esser stata dipinta a fresco, e le par<strong>et</strong>i incastrate di pi<strong>et</strong>re e conche marine di varj colori, col suolo lavorato a musaico. Vi sono bagni d’acque chiare, ed in uno de’ camerini [13] è la strada verso <strong>il</strong> monte, ma impedita d<strong>alla</strong> terra cadutavi. Giustino Martire dice esser stato in questa grotta, con havervi osservato i bagni, ove si lavava la Sib<strong>il</strong>la, la catedra, dove dava le risposte degli oracoli, e che a suo tempo vi era un sepolcro di bronzo con le ceneri della sud<strong>et</strong>ta Sib<strong>il</strong>la, onde pare che non sia tutto favoloso ciò che dice Virg<strong>il</strong>io, che Enea fusse venuto al Tempio d’Apollo in Cuma, ove era l’antro della Sib<strong>il</strong>la, chiamando Euboici quei lidi. Ritornando a Cuma, quivi morì P<strong>et</strong>ronio, fam<strong>il</strong>iare di Nerone. La Chiesa Madre, allora che fu cristiana, era dedicata a San Massimo, i suoi vescovi haveano ancora la giurisdizione di Mi<strong>seno</strong> e di molti di essi si trova fatta menzione presso i Conc<strong>il</strong>j, e gli scrittori, fra’ quali sono Liberio, Rinaldo, Scaramuzza, Adeodato, Barbato, Pi<strong>et</strong>ro, Massenzio, Giovan Leone, un altro Giovanni Mi<strong>seno</strong> ed altri. <strong>Di</strong>strutta la città, fu unita la giurisdizione ecclesiastica all’Arcivescovale di <strong>Napoli</strong>. Hebbe i santi martiri, che furono Massimo, Valeriano, Abbundio e Fedele, suoi [14] cittadini, e vi era <strong>il</strong> corpo di santa Giuliana da Nicomedia, ove fu martirizata, portata quivi da Sofia, matrona romana, e, distrutta Cuma, trasferita nel monistero di Donnaromita, di cui celebrano con l’officio la traslazione quelle sacre vergini, benché non si sappia ove sia <strong>il</strong> sacro corpo, come si disse parlando di quel monistero, essendo trasportato <strong>il</strong> corpo di san Massimo nella Cattedrale, ove si adora. Tra Mi<strong>seno</strong> e Cuma è la d<strong>et</strong>ta Palude Acherusia, d<strong>et</strong>ta Coluccia, oggi Fusaro, ove si matura <strong>il</strong> lino e vi si fa pesca di cevali ed angu<strong>il</strong>le, standovi in mezo come un’isol<strong>et</strong>ta con casa di pescadori. La confondono alcuni col Lago d’Averno, ma è in verità distinta; può ben havervi corrispondenza sotterranea. Qui presso era la v<strong>il</strong>la del ricchissimo Serv<strong>il</strong>io Vaccia, che fuggendo d<strong>alla</strong> tirannia di Tiberio vi si seppellì nell’ozio, dicendo di sé stesso: “Hic Vaccia situs est”, e dando luogo alle genti di dire coi sentimenti di Seneca: “O Vaccia tu solus scis vivere”. Vi havea costui fatte due grotte, una freddissima, che non riceveva mai <strong>il</strong> sole, per l’està, l’al[15]tra 9
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In detto monte v’è la grotta det
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condotta la miserabile pentita in u
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antiche delle case e ville, portata
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Antonio Suarez Messia Marchio Vici.
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pronunciano V consonante; onde dico
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trasportate l’arene sino a’ con
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istesso si attribuisce a Pompei e a
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Torre ed ad un luogo detto Bottaro,
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fanno padiglioni, e si trattengono
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tutto questo paese fu consacrato ad
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Caleno, come dice Strabone, e nella
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non cedono alle mongane di Roma, an
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uttando a terra quello inalzato dal
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Memoria de’ suoi vescovi si ritro
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Dragone fiume e suoi nomi, dove nas
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Lautrecco colle, da chi prendesse i
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V Veseri, città e fiume, non si sa