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Labirinto d’acqua

Magnus spalancò le tende e uscì sul balcone della stanza dell’hotel.

«Ah, Venezia! Non esiste città al mondo come te.»

Alec lo seguì fuori e si appoggiò alla ringhiera. Seguì con lo

sguardo una gondola che serpeggiava sul canale e spariva dietro un

angolo.

«Puzza un po’.»

«È l’atmosfera.»

Alec fece un ghigno. «Be’, l’atmosfera è piuttosto pungente.»

L’unica cosa positiva dell’attacco dei demoni della sera prima era

che tra la decina di incantesimi di invisibilità messi in atto da tutti i

partecipanti e da un certo numero di spettatori, i mondani

responsabili del treno non si erano accorti del caos spaventoso né del

buco gigantesco in una delle carrozze passeggeri. Erano arrivati a

Venezia alle dieci del mattino, quasi in orario.

Dopo aver preso un taxi d’acqua, erano scesi al Belmond Hotel

Cipriani, a pochi isolati dall’ex sede della Mano Scarlatta.

Magnus rientrò nella suite e indicò le valigie, che si aprirono e

iniziarono a disfarsi da sole. Maglioni e cappotti volarono

nell’armadio, la biancheria si piegò nei cassetti, le scarpe

camminarono mettendosi ordinatamente in fila vicino alla porta e gli

oggetti di valore si chiusero nella cassaforte.

Si girò verso Alec, che stava osservando il movimento del sole nel

cielo sereno con la fronte leggermente aggrottata.

«So cosa stai pensando» disse Magnus. «Colazione.»

«Non abbiamo tempo» disse Shinyun, facendo irruzione nella suite

senza bussare. «Dovremmo andare subito a perquisire la sede

abbandonata.»

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