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Antichi peccati

La terra tremò, l’aria pulsò e Magnus sentì centinaia di punture di

spillo da tutte le parti. Una forza si impadronì della sua mente e la

strizzò, schiacciandola e tirandola come pasta di pane fino a darle una

forma completamente diversa. Gridò.

Il lampo accecante della sofferenza cancellò la realtà. Quando

Magnus recuperò la vista, vide una stanzetta con il soffitto intonacato

e udì una voce familiare pronunciare il suo nome.

«Magnus.»

Il possessore di quella voce era morto.

Si girò lentamente e vide Ragnor Fell, seduto a un tavolo di legno

rovinato davanti a Magnus… un secondo Magnus. Un Magnus più

giovane, meno ridotto all’impotenza da un dolore straziante. Avevano

entrambi in mano grosse tazze di latta, erano tutti e due piuttosto in

disordine e parecchio ubriachi. I capelli bianchi di Ragnor erano

aggrovigliati intorno alle corna, come nuvole impigliate nei reattori di

un jet. Le guance verdi erano avvampate di smeraldo scuro.

Aveva un aspetto assurdo. Era bello rivederlo.

Magnus si rese conto di essere intrappolato all’interno della propria

memoria, costretto ad assistere.

Si avvicinò a Ragnor e lui allungò una mano sopra il tavolo.

Magnus avrebbe voluto essere la persona che il suo amico aveva

davanti. La speranza fu sufficiente; sentì che il suo io passato e quello

presente si avvicinavano, fondendosi in un unico corpo. Magnus fu di

nuovo l’uomo che era stato, in procinto di ritrovarsi faccia a faccia con

le cose che aveva fatto.

Ragnor disse gentilmente: «Sono in pensiero per te».

Magnus agitò la tazza con studiata indifferenza. La maggior parte

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