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distogliere lo sguardo. Magnus osservò le linee severe del suo viso e

pensò all’implacabilità degli angeli.

«Lo voglio» disse Alec, in tono disperato. «Ti voglio più di quanto

abbia mai voluto qualunque cosa in vita mia. Ma… ci siamo dentro

insieme. Tu sei preoccupato per il culto e io non voglio solo degli

istanti rubati quando non c’è Shinyun, quando tu sei infelice.»

Magnus pensò di non essersi mai commosso di più per delle parole

pronunciate da qualcuno che si rivestiva.

«Voglio risolvere questa cosa» aggiunse Alec, rimettendosi la

camicia. «Dovrei andare.»

Magnus raccolse la sua T-shirt che era appallottolata per terra

vicino alla finestra. Se la infilò e guardò il Colosseo con le sue linee

dritte e curve, un posto dove uomini avevano combattuto molti anni

prima che nascesse lui.

«Vorrei che tu potessi rimanere» disse piano. «Ma hai ragione. Però

salutami almeno con un bacio.»

Alec aveva una strana espressione, come se qualcuno lo avesse

ferito, ma non proprio. Gli occhi azzurri che Magnus amava tanto

erano quasi neri.

Superò la distanza che li separava con un’unica falcata e spinse

Magnus contro la finestra, sollevandogli la maglietta. La schiena nuda

di Magnus era a contatto del vetro riscaldato dal sole. Lo baciò,

lentamente e senza fretta questa volta, e sapeva di rimpianto. Con

voce ebbra mormorò: «Sì… sì… no! No, devo andare all’Istituto di

Roma».

Si allontanò da Magnus e prese l’arco, rigirandoselo tra le dita,

come se dovesse tenersi le mani occupate.

«Se ci sono attività insolite relative a un culto o ai demoni, l’Istituto

ne sarà al corrente. Dobbiamo usare qualunque mezzo a nostra

disposizione. Non possiamo perdere tempo. Abbiamo già dormito

tutto il giorno… chissà cos’altro ha combinato il culto in queste ore…

devo andare.»

Magnus avrebbe voluto essere seccato con Alec per essersi tirato

indietro; il problema era che l’urgenza di cui parlava era un fatto

incontestabile. «Qualunque cosa pensi sia meglio fare» disse.

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