di Carlo Cassola

ò un ciuffo, drizzandosi proprio sopra la fronte, come una
cresta; Mara provo a pettinarsi e a legarli un'altra volta,
ma fu peggio che mai. Anche Bube, del resto, aveva i ca-
pelli come lei, lisci e irti, e per quanto li pettinasse non gli
stavano mai a posto. "Ci siamo accoppiati bene", pensò
Mara ridendo. Finalmente mise insieme la roba che le sa-
rebbe servita per il viaggio: due fazzoletti, un paio di mu-
tande, il portamonete con pochi spiccioli dentro, il pettine,
lo spazzolino, il dentifricio, cinque o sei nastri: solo di quel-
li aveva abbondanza, ma erano tutti scoloriti. Fece un fa-
gottino, e apri la valigia di Bube per mettercelo.
« Bube. Bubino. n
Egli si affaccio sulla porta, un po' sorpreso e contraria-
to di essere chiamato in quel modo.
a È tutta qui la tua roba? n
a Si; perché? n
a Perché allora sei anche te povero in cannan disse Ma-
ra, e rise.
aEh, si, sono un po' a terra come corredon ammise
Bube.
Anche la valigia era in cattive condizioni: sgraffiata e
ammaccata, e con la maniglia fissata ai ganci per mezzo di
uno spago. Mara glielo fece notare; Bube, seccato, bronto-
lo che era bene non perdere altro tempo. u Sarà meglio che
svegli tuo padre.
u E perché? n
a Dobbiamo salutarlo, no? n
a Che bisogno c'è? Piuttosto ... n ma non termino la fra-
se.
Piuttosto voleva salutare la madre. Poco prima I'ave-
va sentita scendere e andar fuori. Lei era sempre molto
mattiniera.
La trovò dietro casa che stendeva il bucato sul filo ti-
rato fra un gancio infisso nel muro e un palo piantato
nel campo.
« Mamma, allora io parto. n La madre non sembrò nem-