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di Carlo Cassola

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sor<strong>di</strong>ne che c'erano in casa <strong>di</strong> Bube. Glielo aveva anche<br />

detto, un momento che le donne non sentivano: «Abiti<br />

proprio in un tugurior>. Bube naturalmente s'era risentito:<br />

a10 sono <strong>di</strong> povera famiglia; ma non me ne vergogno<br />

mica ... Anzi, se lo vuoi sapere, me ne tengo)). Ma che c'en-<br />

trava esser poveri. È che erano su<strong>di</strong>ci, altro che storie.<br />

In camera c'era puzzo <strong>di</strong> pipì, e lì in cucina, tanfo <strong>di</strong> rigo-<br />

vematura.<br />

Questo non gliel'aveva detto, ma quando Bube aveva<br />

preteso che andasse a dormire in camera, s'era ribellata; e<br />

poco le importava che sentissero anche la madre e la so-<br />

rella: « Io sono abibata a dormire sola, e con delle persone<br />

estranee specialmente, non mi riuscirebbe davvero <strong>di</strong> dor-<br />

mirci~. E lui, offeso: aNon sono mica persone estranee:<br />

sono mia madre e mia sorella ». a E che vuol <strong>di</strong>re? Se un'o-<br />

ra fa nemmeno le conoscevo.)) Bube aveva alzato la voce<br />

(chissà: in presenza della madre e della sorella voleva far<br />

vedere che era lui a comandare), ma lei gli aveva tenuto<br />

bravamente testa: ((Insomma, o mi fai dormire sola in cu-<br />

cina, oppure piglio e me ne vado all'albergo ». «Te invece<br />

fai quello che <strong>di</strong>co io. » « No bello. » a Mara, guarda che le<br />

pren<strong>di</strong>.» aMa chi ti cre<strong>di</strong> <strong>di</strong> essere? Perché hai picchiato<br />

un prete, pretenderesti <strong>di</strong>-picchiare anche me. Bella forza<br />

picchiare un vecchio B aveva aggiunto con <strong>di</strong>sprezzo. « E vi<br />

ci siete messi in cinquanta. » a Niente affatto: gli altri sta-<br />

vano a guardare, ho picchiato io solo. » « Ma appena sono<br />

arrivati i carabinieri, ve la siete data a gambe! Tu per pri-<br />

mo. » « Niente affatto. » a Ma se l'hai detto tu! Vero? » fece<br />

rivolta alla sorella. Quella era rimasta zitta, doveva essere<br />

proprio un'i<strong>di</strong>ota, in tutta la sera non aveva aperto bocca<br />

che per <strong>di</strong>re stupidaggini. ((Insomma sono io l'uomo ... e te<br />

devi obbe<strong>di</strong>re)) aveva concluso Bube. Lei s'era messa a ri-<br />

dere: « E io sono la donna ... e perciò voglio averla io l'ulti-<br />

ma parola. E poi non sei gentile, scusa: io te l'ho ceduto il<br />

mio letto quando sei venuto a casa mia; perché non vuoi ri-<br />

cambiarmi il favore? » «Io facevo perché stessi più como-

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