Petronii Cena Trimalchionis, con studii illustrativi e note di Paolo ...

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chione, allontanatosi per i suoi bisogni, ritorna nel triclinio
e spiffera i suoi criteri igienici sulla necessità
di non contenersi; e dà ampia facoltà agli amici di
concedersi tutto su quel punto, sia andando fuori ove
troveranno tutto l'occorrente, sia lì stesso, a tavola.
Egli canta arie di Mimi, con voce di sgangherato basso
profondo {taeterrima) ; vuol imitare una scena eseguita
dal celebre pantomimo Siro, ed é cosi sconciamente
goffo, che Fortunata stessa deve avvertirlo di
moderarsi.
Con tutta la posa assunta d'uomo colto e fedele osservatore
della latinità, la sua lingua è il gergo volgare
del suo paese, quello stesso dei suoi colliberti e
dei suoi schiavi, un latino plebeo formatasi dall' innesto
col greco originario, un gergo ibrido greco-latino
che Petronio ha meravigliosamente riprodotto in quest'episodio
del Satiricon, con tutta la sua freschezza popolare,
pieno di proverbi e di modi di dire, di riboboli
e di erronei rifacimenti e riflessi della lingua letteraria.
I versi poi di Trimalchione sono in un singolare
metro elegiaco che consta di due esametri e
un pentametro, goffi e zoppicanti.
Eiboccanti di banalità e spropositi amenissimi sono
i suoi sproloquii astrologici, archeologici, letterarii ; le
spiritosaggini di cui infinitamente si compiace sono o
insulse 0 grossolane; crede puerilmente al lupo mannaro
e alle streghe notturne, e si atterrisce a sentir il
gallo della mezzanotte, annunziatore di disgrazie.
Pure a completare in Trimalchione un tipo schiettamente
meridionale, non manca una buona dose di
bontà. Fortunata era una schiava ch'egli aveva comprata
dal palco della vendita nel mercato di schiavi,
l'aveva affrancata e sposata, rifiutando, per mantenere
il suo impegno con lei, il matrimonio con una milionaria.
Assai umano è con gli schiavi, anche per la