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WALSERSPRACHE - The four main objectives of the Alpine Space ...

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Enrico Rizzi<br />

recentissime. La prima è il progetto “Walser Alps”, che vede operare insieme<br />

partners appartenenti a sei stati diversi e a undici regioni alpine. La<br />

seconda è la proposta, già avanzata al governo italiano, di inserire la lingua<br />

e cultura Walser nella lista del patrimonio culturale immateriale<br />

dell’UNESCO, quale “patrimonio mondiale dell’umanità”. Un riconoscimento<br />

che accenderebbe un forte riflettore sui Walser e consentirebbe di<br />

raccogliere nuove risorse e favorire in molti modi la valorizzazione di una<br />

cultura che deve costituire il volano anche dello sviluppo economico<br />

delle comunità Walser, aiutandole a recuperare un patrimonio di civiltà<br />

così peculiare, ma di interesse universale, in chiave di turismo culturale.<br />

Sulla peculiarità di questa cultura (e di questa lingua) credo che occorra<br />

s<strong>of</strong>fermarsi anche in queste nostre giornate d’incontro. Ed io, svestiti i<br />

panni del testimone di un impegno che ha accumunato negli ultimi decenni<br />

molti di noi, panni fin qui indossati, torni ai miei di storico, anche se di<br />

storico della colonizzazione, non di storico della lingua. Ma i due aspetti,<br />

com’è evidente, sono tra loro intimamente legati.<br />

La lingua Walser – come abbiamo sostenuto anche nella proposta di<br />

candidatura all’UNESCO – rappresenta una delle lingue più arcaiche e<br />

contrassegna una civiltà, un modo di vita, un’economia dell’alta montagna<br />

senza uguali nella storia d’Europa. Perciò la scomparsa della lingua<br />

Walser – unica vera espressione e contrassegno di quel popolo – sarebbe<br />

una perdita per l’umanità.<br />

La lingua è infatti l’unico retaggio pregno di caratteristiche, il quale,<br />

malgrado tutte le mutilazioni e le mescolanze subìte nei secoli, nonostante<br />

le diversità locali e le varie interferenze estranee, ancora oggi distingue<br />

i Walser dai vicini allogeni. E quasi a compensare la straordinaria versatilità<br />

che li ha caratterizzati nella dura sfida alla montagna, il loro tenace<br />

attaccamento alla vecchia lingua ha sempre connotato la loro volontà di<br />

salvare la parte più pr<strong>of</strong>onda della cultura, quella che l’ambiente con le<br />

sue leggi ferree non è stata in grado di scalfire, e che ogni altra espressione<br />

della civiltà Walser ha saputo gelosamente racchiudere.<br />

Albert Schott, il primo germanista a intraprendere nel 1839 un viaggio<br />

a piedi nelle valli Walser a sud del Rosa, la definì pittorescamente “lingua<br />

silvestre”. In un’epoca in cui la vita negli “otto comuni tedeschi” alle falde<br />

del Rosa era ancora quella del Medioevo, Schott raccolse un’infinità di<br />

notizie sulla loro parlata: “una variante rurale dell’antico alemanno, miracolosamente<br />

salvata lassù”. Il tedesco migliore, secondo Schott, era quello<br />

di Gressoney, “con l’armonioso suo accento all’antica”, molto vicino al<br />

dialetto Walser dei Grigioni. Ad Alagna, Rima e Rimella, il dialetto era<br />

invece più ruvido, e aveva subìto maggiormente l’influsso italiano; a<br />

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