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Pagine di vita nel Canavese del basso Medioevo - Uni3 Ivrea

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suolo, poteva acquistare un tasso zuccherino elevato e quin<strong>di</strong>, durante la<br />

fermentazione <strong>del</strong> mosto, ottenere una maggiore gradazione alcolica. Dove<br />

però le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> esposizione, temperatura me<strong>di</strong>a e umi<strong>di</strong>tà erano <strong>di</strong>verse,<br />

era necessario sollevare quanto più possibile dal suolo i tralci, specialmente i<br />

più giovani che, con le gelate invernali, rischiavano <strong>di</strong> essere <strong>di</strong>strutti. Si<br />

ricorse dunque alla coltivazione ad alteno, che fin dalla prima metà <strong>del</strong><br />

Duecento fu il sistema più usato in <strong>Canavese</strong>, come <strong>nel</strong> resto <strong>del</strong> Piemonte.<br />

Ricorriamo ancora alla citata “storia <strong>del</strong> Piemonte” per apprendere come<br />

si impiantava l’alteno.<br />

Si trattava <strong>di</strong> una forma colturale caratterizzata dalla vite maritata agli<br />

alberi, a volte <strong>di</strong>sposti in ampi filari, a volte collocati lungo il perimetro<br />

<strong>del</strong>l’appezzamento. Nell’alteno il vitigno veniva tenuto alto e fatto crescere fino<br />

alla chioma <strong>del</strong>l’albero. Il tralcio portante veniva in<strong>di</strong>rizzato verso l’albero<br />

vicino, dal quale partiva un’altra vite: a metà strada fra i due alberi tutori, i<br />

due tralci venivano legati insieme, così da formare una catena che univa un<br />

albero all’altro.<br />

Molto spesso, le viti erano tenute sollevate dal suolo con il sistema<br />

chiamato “a palo morto” utilizzando come sostegno non alberi, ma pali infissi<br />

<strong>nel</strong> suolo e collegati da altri pali sistemati orizzontalmente a formare spalliere o<br />

pergole, che oggi in piemontese chiamiamo tòpie o topion.<br />

Entrambi i sistemi sono documentati dagli Statuti canavesani.<br />

In quelli <strong>di</strong> Alice (1514) al cap. 27, riguardante la <strong>di</strong>stanza dal confine<br />

degli alberi, si legge fra l’altro: E se qualcuno vorrà piantare viti, o aceri o<br />

ciliegi per sostenere le viti, dovrà lasciare lo spazio <strong>di</strong> quattro pie<strong>di</strong> dalla<br />

proprietà <strong>del</strong> vicino.<br />

All’epoca, in <strong>Canavese</strong> si usava il piede liprando, che corrispondeva a<br />

cm 51,44. Perciò la <strong>di</strong>stanza dal confine doveva essere <strong>di</strong> circa 2 metri.<br />

Qualcosa <strong>di</strong> simile a Balangero (1391, cap. 109), dove però la <strong>di</strong>stanza<br />

<strong>di</strong> rispetto era maggiore, cioè più <strong>di</strong> metri 4,5.<br />

Si stabilì poi che d’ora in avanti nessuno, <strong>nel</strong> territorio <strong>di</strong> Balangero e<br />

<strong>del</strong>la castellata, pianti qualche alteno con aceri e viti, oppure alberi da frutto, in<br />

un luogo dove vi sia <strong>del</strong> terreno arabile, se non alla <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> nove pie<strong>di</strong> dalla<br />

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