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Pagine di vita nel Canavese del basso Medioevo - Uni3 Ivrea

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Giorgio <strong>di</strong> Ruffia, monaci e sindaci <strong>del</strong> predetto Monastero; e con il consenso e<br />

l’autorità <strong>del</strong>lo spettabile e generoso Signore Ludovico Provana, vicario per<br />

quanto riguarda gli interessi materiali <strong>di</strong> detta Abbazia, e <strong>del</strong>l’onorevole<br />

Castellano <strong>del</strong> luogo <strong>di</strong> Montanaro; riuniti i capi <strong>di</strong> casa, secondo il costume;<br />

con il consenso, il permesso e l’autorità dei personaggi <strong>di</strong> cui sopra;<br />

intervenendo sempre il beneplacito <strong>del</strong>l’Autorità superiore ... si è stabilito e<br />

or<strong>di</strong>nato che, morta la moglie <strong>di</strong> qualcuno <strong>del</strong> luogo <strong>di</strong> Montanaro o lì abitante,<br />

senza lasciare alcun figlio nato dallo stesso matrimonio, oppure, se nati, sono<br />

morti prima, lasciando superstite il marito, lo stesso marito ere<strong>di</strong>terà la dote<br />

<strong>del</strong>la moglie ... parimenti anche i beni parafernali <strong>del</strong>la stessa moglie deceduta.<br />

I beni parafernali, come spiega il solito <strong>di</strong>zionario Devoto-Oli, in<strong>di</strong>cano<br />

“Nel linguaggio giuri<strong>di</strong>co,dei beni <strong>del</strong>la moglie non costituiti in dote né in<br />

patrimonio famigliare né in comunione,coi quali però la moglie è tenuta a<br />

contribuire alle spese <strong>del</strong>la famiglia; in Italia l’istituto dei beni parafernali è<br />

stato abolito <strong>nel</strong> 1975”.<br />

Ad Alice Castello (1514, cap. 24), il marito aveva il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> ere<strong>di</strong>tare la<br />

metà <strong>del</strong>la dote; lo stesso prescrivevano gli Statuti <strong>di</strong> Azeglio (sec. XV, cap.<br />

79), <strong>di</strong> Barbania (sec. XV, cap. 18) e <strong>di</strong> Valperga (1510, cap. 12).<br />

Gli Statuti <strong>di</strong> Foglizzo (1387, cap. 79) riducevano ad un terzo la parte<br />

<strong>di</strong> dote che il marito poteva ere<strong>di</strong>tare; così pure quelli <strong>di</strong> Strambino (1438, cap.<br />

176), che così recitano:<br />

Si stabilì e or<strong>di</strong>nò che se capiterà che qualche donna sposata ad un<br />

uomo <strong>di</strong> Strambino si <strong>di</strong>parta da questo secolo (= muoia) senza figli o figlie<br />

nati legittimamente da quell’unione, verificandosi questo caso, due parti <strong>del</strong>la<br />

dote <strong>di</strong> quella donna siano restituite ai parenti prossimi <strong>del</strong>la medesima donna,<br />

e la terza parte <strong>del</strong>la predetta dote rimanga in possesso <strong>di</strong> suo marito, senza<br />

alcuna eccezione <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto o <strong>di</strong> fatto e questo Statuto sarà applicato in futuro<br />

<strong>nel</strong>la stesura dei contratti dotali.<br />

Infatti la costituzione <strong>del</strong>la dote era un vero e proprio contratto, in cui il<br />

dotante (padre, madre, fratello o sorella <strong>del</strong>la donna, o anche un altro parente<br />

o persino una persona estranea), re<strong>di</strong>geva, <strong>di</strong> fronte ad un notaio, l’elenco<br />

degli oggetti e dei beni che intendeva costituire in dote alla dotanda.<br />

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