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Pagine di vita nel Canavese del basso Medioevo - Uni3 Ivrea

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Il capitolo successivo stabilisce che le femmine <strong>di</strong> pari grado con i<br />

maschi <strong>di</strong> fronte all’ere<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> una persona morta senza testamento, dovranno<br />

contentarsi <strong>del</strong>la dote e non possano chiedere altro <strong>nel</strong>la successione a<strong>vita</strong>,<br />

paterna, materna o fraterna.<br />

Qualche anno più tar<strong>di</strong> (1514, cap. 22) gli Statuti <strong>di</strong> Alice Castello<br />

ripetono lo stesso concetto, quasi con le stesse parole.<br />

Poiché il nome e la famiglia si tramandano attraverso i maschi, per<br />

questo motivo stabiliamo che una figlia sposata e maritata e fornita <strong>di</strong> dote dal<br />

padre o dalla madre, dal nonno o dalla nonna o da qualunque estraneo, se vi<br />

sono dei figli o un figlio maschio, fratello <strong>di</strong> quella figlia, quest’ultima non abbia<br />

<strong>di</strong>ritto in alcun modo ad ere<strong>di</strong>tare i beni <strong>del</strong> padre né <strong>del</strong>la madre né <strong>del</strong> nonno<br />

né <strong>del</strong>la nonna ... ma sia contenta <strong>del</strong>la sua dote, data o promessa ...<br />

Negli stessi Statuti (cap. 23) si stabilisce che le femmine non possano<br />

ere<strong>di</strong>tare da un fratello defunto, se esistono altri fratelli.<br />

A San Benigno il Monastero <strong>di</strong> Fruttuaria <strong>nel</strong>l’anno 1443 concede <strong>del</strong>le<br />

franchigie fra cui una riguarda appunto la dote.<br />

Le doti <strong>di</strong> tutte le donne <strong>del</strong>la predetta comunità e luogo e in essi<br />

sposate, da qualunque posto provengano esse ed i loro beni dotali, per il<br />

passato ed in perpetuo dovranno essere libere sciolte e svincolate da<br />

qualunque successione <strong>di</strong> detto monastero, cosicché lo stesso monastero in<br />

nessun modo possa accampare <strong>di</strong>ritti successori sulle doti ed i beni dotali.<br />

A Montanaro, anch’esso <strong>di</strong>pendente da Fruttuaria, <strong>nel</strong> 1465, un capitolo<br />

(il 7°) degli Statuti, vuole e<strong>vita</strong>re ogni possibilità <strong>di</strong> equivoco in merito alla<br />

successione <strong>del</strong>le doti, e lo fa a seguito <strong>di</strong> una solenne riunione, cui prendono<br />

parte qualificatissimi personaggi.<br />

Secondo l’antica consuetu<strong>di</strong>ne, che è la migliore interprete <strong>del</strong>le leggi, il<br />

marito, quando la moglie muore senza figli, <strong>di</strong>viene proprietario <strong>del</strong>la dote. E<br />

poiché talvolta la consuetu<strong>di</strong>ne non può essere così facilmente <strong>di</strong>mostrata,<br />

volendo eliminare ogni sotterfugio e litigio che potrebbero nascere con il<br />

pretesto <strong>del</strong>la successione in base alla predetta antica consuetu<strong>di</strong>ne, la quale<br />

ottiene forza <strong>di</strong> legge con l’intervento il consenso e l’autorità <strong>del</strong> Monastero<br />

<strong>del</strong>l’Abbazia <strong>di</strong> San Benigno, presenti i venerabili fratelli Tiburzio dei Fiechi e<br />

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