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licenziamenti individuali e collettivi - Osservatorio Permanente sulla ...

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58 Capitolo 8 - Nullità e ineffi cacia del licenziamento<br />

tico o fede religiosa», «a causa della sua affi liazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione<br />

ad uno sciopero» nonché da motivi di discriminazione «razziale, di lingua o di sesso».<br />

Sebbene parte della dottrina ritenga di dover interpretare estensivamente le disposizioni<br />

sopra richiamate, appare preferibile la tesi secondo cui i motivi discriminatori sono esclusivamente<br />

quelli tipizzati dal legislatore, ferma restando la confi gurabilità di un licenziamento<br />

nullo perché intimato per un motivo illecito determinante. In ogni caso, in tema di discriminazione<br />

basata sul sesso l’art. 25, D.Lgs. 198/2006 (che ha sostituito l’art. 4, co. 1, L. 125/1991)<br />

detta le defi nizioni generali di discriminazione diretta ed indiretta, dovendosi intendere:<br />

● con la prima «qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento, nonché l’ordine<br />

di porre in essere un atto o un comportamento, che produca un effetto pregiudizievole discriminando<br />

le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno<br />

favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga».<br />

● che la seconda sussiste «quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un<br />

comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato<br />

sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino<br />

requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo<br />

e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari».<br />

In ogni caso, costituisce discriminazione ogni trattamento meno favorevole in ragione dello<br />

stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della<br />

titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti.<br />

A norma del successivo art. 26 «sono considerate come discriminazioni anche le molestie,<br />

ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi<br />

lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima<br />

intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. Sono, altresì, considerate come discriminazioni<br />

le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale,<br />

espressi in forma fi sica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la<br />

dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante,<br />

umiliante o offensivo. Sono, altresì, considerati come discriminazione i trattamenti meno<br />

favorevoli subiti da una lavoratrice o da un lavoratore per il fatto di aver rifi utato i comportamenti<br />

di cui ai commi 1 e 2 o di esservisi sottomessi».<br />

È poi importante rilevare che, ai sensi dell’art. 43, co. 1, D.Lgs. 286/1998, «costituisce discriminazione<br />

ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione,<br />

esclusione, restrizione o preferenza basata <strong>sulla</strong> razza, il colore, l’ascendenza o l’origine<br />

nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l’effetto di<br />

distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di<br />

parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e<br />

culturale e in ogni altro settore della vita pubblica».<br />

Il successivo comma 2 precisa che «in ogni caso compie un atto di discriminazione: (…) e il<br />

datore di lavoro o i suoi preposti i quali, ai sensi dell’articolo 15 della L. 20.5.1970, n. 300, come<br />

modifi cata e integrata dalla L. 9.12.1977, n. 903, e dalla L. 11.5.1990, n. 108, compiano qualsiasi<br />

atto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando, anche indirettamente,<br />

i lavoratori in ragione della loro appartenenza ad una razza, ad un gruppo etnico o<br />

linguistico, ad una confessione religiosa, ad una cittadinanza. Costituisce discriminazione indiretta<br />

ogni trattamento pregiudizievole conseguente all’adozione di criteri che svantaggino in<br />

modo proporzionalmente maggiore i lavoratori appartenenti ad una determinata razza, ad un<br />

Licenziamenti <strong>individuali</strong> e <strong>collettivi</strong>

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