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e di Gerusalemme. Jolanda, una bambina! Aveva 13 anni, e poi era<br />
impacciata, bruttina, buona solo per la corona regale che portava con<br />
sé. Sua cugina Anais la accompagnava alla cerimonia. Poteva bastare il<br />
nome per accendere la fantasia; e lei assomigliava al suo nome. Anais<br />
senza pudore, pronta a lasciar cadere ogni velo. Scrissi una canzone per<br />
lei. Il Fiore di Siria, quella c’à in pregione lo mio core! Non fu una cosa<br />
onorevole lasciare il letto nuziale di Jolanda e passare la prima notte<br />
con Anais. Re Giovanni mi chiamò ‘fis d’un bechè’, figlio di macellaio,<br />
e protestò ufficialmente presso il papa. Ne ebbe in cambio dei benefici<br />
alla corte romana. Qualche volta riuscii comunque ad avvicinarmi a<br />
Jolanda. Nacque Corrado, erede al trono di Gerusalemme. Anche<br />
Margherita. Poi mi lasciò vedovo per la seconda volta. Aveva 16 anni.<br />
Non resse alle sofferenze di un altro parto.<br />
Vieni, Manfredi, avvicinati a tuo padre. Hanno ragione, mi assomiglia<br />
ma è più bello di me. Un vedovo recidivo sono. La prima volta era proprio<br />
scritto nella natura: io avevo 15 anni e mia moglie forse trenta di<br />
più. Il mio padre adottivo, papa Innocenzo, pensò di domare i miei spiriti<br />
inquieti mettendomi accanto una donna matura, autorevole, religiosa.<br />
Un’altra mamma, ho spesso pensato. Con lo stesso nome: Costanza<br />
d’Aragona! Sono trent’anni ormai che non c’è più.<br />
La ricordo quando indossava il camaleuco nelle cerimonie pubbliche.<br />
La corona intessuta con gemme, perle, bellissime corniole incise, e i<br />
pendenti laterali che le conferivano un aspetto davvero imperiale.<br />
Assomigliava al faldistorio che porto sempre con me, per ogni esigenza<br />
di mostrarmi sul trono imperiale. Stessi ricami di oro e perle; io ho<br />
fatto aggiungere gli smalti con le miniature dei miei antenati.<br />
Avevo quasi timore, o meglio un certo imbarazzo ad avvicinarmi a<br />
Costanza. Mi sentivo Edipo nel letto di Giocasta, come raccontano le<br />
favole dei Greci. Il nostro primo figlio lo chiamammo come mio padre,<br />
Enrico. Non era un gran buon augurio, e difatti Enrico è stato fra tutti<br />
quello che mi ha capito meno. Mi sfidava, tesseva alleanze dementi con<br />
i feudatari germanici. Non aveva capito il disegno di mio padre: un<br />
potere moderno, ereditario, al posto della consuetudine elettiva che<br />
indebolisce l’Impero e rafforza il Papato. Ho dovuto chiuderlo in car-<br />
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