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La politica mediterranea dell'Italia: continuità e cambiamenti

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opinioni<br />

NEDO BOCCHIO<br />

Il 25 aprile, la fine della seconda guerra mondiale,<br />

le sovranità vere e quelle presunte<br />

Il “Corriere della Sera” di venerdì 27 aprile,<br />

nell’editoriale di prima pagina e per la firma<br />

di Ernesto Galli della Loggia, ci ha fatto<br />

dono di un résumé della situazione storico<strong>politica</strong><br />

italiana nel periodo presente-lontano-passato,<br />

così come risulta decantata dalle<br />

annuali celebrazioni del 25 aprile. Titolo:<br />

“Brigatismo senza fine”, sottotitolo: “Slogan<br />

del 25 aprile e veleni della storia”.<br />

L’editoriale si apre con questa domanda:<br />

“Perché l’Italia è l’unico Paese dell’Unione<br />

Europea dove ancora alligna, sia pure in misura<br />

assai ridotta, il terrorismo rosso e da<br />

20 anni non accenna a scomparire? E perché<br />

sempre l’Italia è l’unico Paese dove quel terrorismo<br />

sembra essere in grado di godere<br />

ancora oggi di un’area più o meno vasta di<br />

consenso?”.<br />

Spiega l’autore: “Le celebrazioni milanesi<br />

del 25 aprile, con la loro appendice di slogan<br />

e di cartelli filo-Br, ripropongono questi<br />

imbarazzanti interrogativi che come fantasmi<br />

ci inseguono da decenni”. Ai quali interrogativi<br />

“è impossibile rispondere senza<br />

fare i conti con una questione più generale:<br />

quella della presenza storica nella società<br />

italiana di un fondo di violenza duro, tenace,<br />

che da sempre oppone un ostacolo insormontabile<br />

alla diffusione della cultura<br />

della legalità”. Affermazione che l’autore<br />

conclude in modo piuttosto pirotecnico:<br />

“Non è un caso se l’Italia è la patria delle<br />

a. XXVII, n. s., n. 1, giugno 2007<br />

più importanti organizzazioni storiche della<br />

criminalità europea”.<br />

Pur in debito di una mancata comprensione<br />

circa il legame che intercorrerebbe tra il<br />

“terrorismo rosso”, la sua “area di consenso”,<br />

“le celebrazioni del 25 aprile”, il “fondo<br />

di violenza duro nella società italiana”,<br />

l’“ostacolo insormontabile alla legalità” e<br />

l’“Italia patria” delle mafie, andiamo avanti<br />

nella lettura. “<strong>La</strong> sfera <strong>politica</strong> italiana - continua<br />

l’autore - è stata segnata profondamente<br />

dalla violenza”. “Come per l’appunto<br />

fu il Risorgimento”, “moto rivoluzionario<br />

con alcuni tratti di guerra civile”, che di<br />

fatto instillò negli italiani “l’idea che a certe<br />

condizioni la violenza sia ammissibile (addirittura<br />

necessaria)” e che “ha caratterizzato<br />

in modo netto tutte le moderne culture<br />

politiche che hanno visto la luce nella penisola,<br />

che affondano le radici nella realtà più<br />

autentica della nostra storia: il socialismo<br />

massimalista, il nazional-fascismo, il comunismo<br />

gramsciano, l’azionismo”.<br />

Unica eccezione, “a livello di massa”, a<br />

questo stato di cose: “solo la cultura <strong>politica</strong><br />

cattolica. Se non ci fosse stata la quale, è<br />

probabile che non ci sarebbe stata neppure<br />

l’Italia democratica che invece abbiamo avuto”.<br />

Tuttavia, anche l’Italia democratica<br />

“pure se tale, è stata pur sempre figlia di una<br />

vicenda che aveva sviluppato un’antica e<br />

lunga contiguità con la violenza, nella for-<br />

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