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La politica mediterranea dell'Italia: continuità e cambiamenti

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il cui dato saliente fu l’avanzata del Pci, del<br />

Psi e il crollo di consensi alla Dc, furono ancora<br />

alimento di chi sperava in <strong>cambiamenti</strong><br />

profondi, a partire dal quadro politico governativo:<br />

la Dc perdeva consensi, quelli dei<br />

partiti di sinistra aumentavano, quindi si<br />

andava verso un governo delle sinistre, che<br />

avrebbe costretto la Dc all’opposizione e accantonato<br />

la prospettiva del compromesso<br />

storico (una grande alleanza governativa tra<br />

Pci e Dc), caldeggiata dal Pci fin dal 1973 per<br />

fronteggiare la crisi. Esattamente un anno<br />

dopo, le elezioni politiche anticipate del 20<br />

giugno 1976 rovesciarono brutalmente queste<br />

speranze, facendole diventare illusioni.<br />

Il Pci cresceva ancora, come la Dc d’altronde,<br />

mentre il cartello elettorale dei gruppi della<br />

nuova sinistra, Democrazia proletaria, otteneva<br />

solo l’1,5 per cento dei voti, un risultato<br />

vissuto subito dai più come una sconfitta.<br />

Inoltre, i numeri non erano sufficienti per formare<br />

un governo di sinistra e così si formava<br />

l’ennesimo governo a guida democristiana<br />

con Giulio Andreotti, ma con la novità di<br />

essere sorretto dall’astensione dei comunisti.<br />

Prendeva forma un nuovo quadro istituzionale<br />

e governativo che si inseriva in un<br />

ciclo economico di crisi e di recessione molto<br />

diverso da quello che aveva caratterizzato<br />

gli anni appena trascorsi.<br />

Improvvisamente, una parte consistente<br />

del mondo giovanile che aveva sperato nella<br />

trasformazione si sentì spiazzata, senza una<br />

rappresentanza e delusa dal “fare <strong>politica</strong>”,<br />

che aveva praticato fino al giorno prima. <strong>La</strong><br />

sinistra extraparlamentare, a cominciare dal<br />

congresso di Rimini di Lotta continua del<br />

1976, fu attraversata da una crisi profonda.<br />

Settori di militanti si staccarono da quelle<br />

formazioni, alcuni ritirandosi delusi dalla<br />

<strong>politica</strong>, altri entrando nel variegato e magmatico<br />

mondo che andava sotto il nome di<br />

Autonomia operaia. Un agglomerato disomogeneo<br />

e disorganizzato di comitati e assemblee<br />

autonome, tenuto insieme dal rifiuto<br />

del principio di delega al partito e al sindacato<br />

e da un progetto politico che si differenziava<br />

per radicalismo ed estremismo dagli<br />

altri gruppi della sinistra extraparlamentare.<br />

in biblioteca<br />

Settori di Lotta continua, contrari alle pieghe<br />

politiche intraprese dall’organizzazione,<br />

soprattutto a partire dal congresso nazionale<br />

del 1975, uscivano dal gruppo e si coniugavano<br />

con quelli operanti nell’area dell’autonomia,<br />

costituendo quel reticolo iniziale di<br />

confronto e di mescolamento da cui presero<br />

il via il giornale “Senza Tregua” e poi il gruppo<br />

armato Prima Linea. Altri ancora rimasero<br />

sconcertati a considerare con rabbia, angoscia<br />

e disperazione la prospettiva di non avere<br />

più un futuro, o meglio che il futuro non fosse<br />

quello da loro desiderato e che la storia, vista<br />

la direzione che stava prendendo, li avrebbe<br />

soppressi: “Non abbiamo né passato né futuro,<br />

la storia ci uccide”, iniziarono a scrivere<br />

sui muri delle università.<br />

Quando il ministro Malfatti, sul finire del<br />

1976, provò ad introdurre alcune riforme nel<br />

sistema universitario, la miccia si innescò e<br />

scoppiò, con una serie di occupazioni delle<br />

facoltà italiane, il movimento del 1977, dentro<br />

il quale confluirono soggetti giovanili di<br />

varia provenienza, dai giovani disoccupati,<br />

agli studenti fuori sede, dai delusi dalla <strong>politica</strong><br />

dei gruppi ai militanti dell’autonomia<br />

operai, dai giovanissimi studenti delle medie<br />

superiori alle giovani donne del movimento<br />

femminista. Esso finì coll’essere un amalgama<br />

mal riuscita, nella quale istinti ribellistici,<br />

estremismo insurrezionalista, disponibilità<br />

alla violenza spontanea convivevano con<br />

un rifiuto dell’organizzazione <strong>politica</strong> e in alcuni<br />

casi dell’idea stessa di <strong>politica</strong>.<br />

A differenza del Sessantotto, questa volta<br />

il Pci si collocava nell’area governativa, e<br />

quindi il movimento si trovò immediatamente<br />

all’opposizione anche rispetto ai comunisti.<br />

Era un fatto nuovo che non aveva precedenti<br />

nella storia del paese; mai un movimento<br />

di sinistra si era opposto risolutamente<br />

e senza possibilità di mediazione al Pci. <strong>La</strong><br />

cacciata dall’università di Roma di Luciano<br />

<strong>La</strong>ma, segretario generale della Cgil, il 17 febbraio<br />

1977, accentuò e rese irreversibile l’incompatibilità<br />

tra movimento, Partito comunista<br />

e Cgil. In questo senso, come fa notare<br />

Grispigni, “il ’77 fu un movimento anticomunista”,<br />

cioè contro il Pci; volle inoltre mar-<br />

130 l’impegno

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