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La politica mediterranea dell'Italia: continuità e cambiamenti

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Giovanni, Lorenzo, Gioacchino e gli altri<br />

dove i lavori di costruzione del “Ringstrasse”<br />

(grande anello stradale urbano) erano<br />

al loro apogeo 11 .<br />

L’estate seguente, manifestando la medesima<br />

volontà di non limitarsi agli spazi abituali<br />

dell’emigrazione postuese, si reca nella<br />

Svizzera tedesca, a Zurigo e a San Gallo.<br />

Durante queste assenze, se si dà credito<br />

a una lettera scritta da Giovanni nel settembre<br />

1873 e ad un’altra di Gioacchino del giugno<br />

’74, dovevano essersi manifestate titubanze<br />

e indecisioni nella squadra di cui Gioacchino<br />

dirigeva le attività, tanto che quest’ultimo<br />

mette in guardia il fratello e i compagni:<br />

“State attenti a mettervi d’accordo: ve la cavate<br />

bene a mangiare e a bere vino eppure<br />

siete sempre pronti a reclamare”.<br />

Più giovane di Giovanni di cinque anni e<br />

del primogenito Lorenzo di otto, Gioacchino<br />

Novello, che nel 1874 ha appena trent’anni,<br />

già emerge come il leader nel piccolo mondo<br />

dell’emigrazione postuese.<br />

Possiamo considerare questo riferimento<br />

all’ultimogenitura come un piccolo contributo<br />

al già voluminoso (ancorché controverso)<br />

dossier di Franck Sulloway, ricercatore<br />

al prestigioso Mit, che, dopo una serie di<br />

osservazioni su seimila persone che hanno<br />

svolto un preponderante ruolo negli sconvolgimenti<br />

sociali, scientifici o artistici, ha<br />

concluso che “per fare la rivoluzione occorre<br />

un ultimogenito”.<br />

Giovanni, dal canto suo, non condivide<br />

minimamente le certezze del fratello. Nelle<br />

lettere che Gioacchino gli manda appare<br />

spesso in preda all’ansia, rassicurato solo<br />

in modo provvisorio dai consigli fraterni.<br />

“Le tue due lettere - scrive Gioacchino nel<br />

maggio 1875, allorché Giovanni si è appena<br />

stabilito a Clermont-Ferrand - mi hanno causato<br />

della pena, ma abbi pazienza. Vedrò di<br />

soddisfarti... ti ho mandato un dispaccio perché<br />

tu fossi rassicurato... cercherò di formare<br />

per te un cimentier e ti manderò altri operai.<br />

Tutto andrà bene... abbi pazienza”.<br />

L’impazienza ansiosa di Giovanni risente<br />

manifestamente dei rapporti con altri membri<br />

della “famiglia postuese all’estero”.<br />

Nel novembre 1874 il cugino, Agostino<br />

Useo, si impegna lungamente a giustificarsi<br />

delle accuse di Giovanni, il quale, pare,<br />

gli rimprovera di aver preso un lavoro che<br />

era destinato a lui nel cantiere delle caserme<br />

di Tolosa. Sei mesi più tardi, nel giugno<br />

1875, lo zio Gioacchino invia da Tarbes al<br />

nipote un messaggio così concepito: “Ho<br />

ricevuto la tua lettera e alcune parole non<br />

mi hanno fatto piacere. Non fare i capricci”.<br />

Ma poi nei pensieri di Gioacchino c’è soprattutto<br />

Postua, più ancora che in quelli dei<br />

fratelli, dello zio o dei cugini, quantunque<br />

questi non siano indifferenti al richiamo del<br />

paese avito. Infatti lo zio Gioacchino spiega,<br />

in una lettera del settembre 1875 che, se<br />

ha risposto tardivamente al nipote, è perché<br />

attendeva notizie da Roncole, dai suoi, ai<br />

quali aveva scritto una lettera il primo agosto<br />

rimasta ancora senza risposta.<br />

Le due lettere di Giacomino Novello, padre<br />

di Giovanni (novembre 1869 e agosto<br />

1873) sono piuttosto banali tanto nel contenuto<br />

(notizie familiari) che nella stesura<br />

(“carissimo figlio”, “avere tue notizie è una<br />

grande consolazione”).<br />

Ma una lettera di Giovanni a Gioacchino<br />

del settembre 1873 lascia trasparire rappor-<br />

11 Quando mia zia, Eleonora Novello, mi parlò, trent’anni fa, di un soggiorno di Gioacchino<br />

a Vienna, avevo creduto di capire che si trattasse di Vienne, la cittadina sulle rive del Rodano,<br />

supponendo, a torto, come si vede, che un soggiorno nella capitale austriaca, come sosteneva<br />

mia zia, appartenesse più al “mito” che alla realtà.<br />

a. XXVII, n. s., n. 1, giugno 2007 115

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