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Testo - Antonio Ferrazzani

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dell’uomo. O in quella della servetta. L'alessandrino poteva rinunciare<br />

alla propria passione e all'erede. O la ragazzotta poteva convincersi<br />

che una calcolosi non è la fine del mondo. Che, anzi, è<br />

malattia da preferirsi a molte altre.<br />

Ma, se cuori e menti ribollivano e ribollendo mutavano un po'<br />

dappertutto sul globo terraqueo, le di lui continue proposte, purtroppo,<br />

ancora non gli davano il bene di credere che la cosa sarebbe<br />

accaduta in breve tempo. Assetato di amore giovane e di<br />

prole maschia, l'uomo era lì a ricordarglielo a ogni piè sospinto. La<br />

passione continuava a correre nelle sue vene – probabilmente scivolando<br />

anche in quelle della servetta -, e la di lui fantasia continuava<br />

a erigere castelli di fiamma, a evocare meravigliosi panorami<br />

incentrati su quel - fosse pure unico - figlio maschio. L'erede che<br />

avrebbe portato orgogliosamente a circoncidere dal barbiere all'angolo,<br />

vecchio amico di famiglia, anch'egli da sempre in attesa<br />

spasmodica dell'evento. Un uomo dai lunghi e folti baffi bianchi<br />

che lui aveva incontrato qualche volta nella strada polverosa, benevolo<br />

spirito prepuziale nell'immaginario della schiatta.<br />

Che almeno gli giungesse qualche interessante novità, se proprio<br />

Saskia non poteva raggiungerlo!<br />

Intanto, la notte continuava ad uscire sul piccolo terrazzo. A<br />

guardare dapprima gli scarsi nuvoli che s’inseguivano veloci davanti<br />

alla Chioma di Berenice, e poi la casa di Mulid. Fino a che<br />

quest’ultima non fu l'unico spettacolo, allorché, tornata la luna, la<br />

costellazione stretta fra la Vergine, il Leone e Boote, divenne invisibile<br />

ai suoi occhi.<br />

O era piuttosto la casa che guardava lui dalle nicchie delle sue cieche orbite<br />

e dagli intagli lignei, inseminandolo di pensieri e fantasie?<br />

Affondando lo sguardo con tranquilla abitudine nell'insieme di<br />

parallelepipedi che fronteggiavano la terrazza, egli rifletteva sulla<br />

loro struttura, sui colori macchiati d'ombra, sui giochi di luce che<br />

le stelle e la luna ne traevano. Infine, ricordò come Le Corbusier<br />

avesse molto apprezzato l'architettura di alcune città africane, le<br />

città Mozabite ad esempio. Le aveva considerate perfette “macchine<br />

per abitare”. Ma lì, nella zona dove lui risiedeva, non c'erano<br />

casbe dai vicoli angusti e dalle architetture fantasiose. Trame di vita<br />

sedentaria da cui il minareto s'innalzasse simile a un dito che<br />

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