Seminario su Gramsci - ART
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nario e classi lavorative sfruttate, non già da un soggetto di figure oppresse<br />
e sfruttate unite in partito aperto, regolato da una democrazia<br />
discorsiva, delle quali quelle lavorative erano certamente la parte decisiva,<br />
però non la sola. Data questa posizione teorica del partito, conclude<br />
Ingrao, il <strong>su</strong>o unanimismo si configurava non solamente come un errore<br />
che ne riduceva le capacità di analisi della realtà italiana e le capacità<br />
di lotta egemonica, ma che anche ne configurava una debole capacità di<br />
ascolto delle varie figure sociali oppresse, dei loro processi di elaborazione<br />
critica e delle loro richieste non solo materiali ma anche di civiltà;<br />
era quindi un’incongruità frenante foriera, nel periodo più lungo, di<br />
grandi difficoltà soggettive. Concludo la questione degli elementi deboli<br />
o incongrui in Togliatti ecc. L’attitudine a ridurre l’antagonismo a<br />
“distinzione” (a differenza, a divergenza) aveva in sé un’evidente possibilità<br />
di evolvere in senso “centrista” ovvero gradualista, in altre parole,<br />
di trasformare l’indicazione gramsciana della lotta di classe per il socialismo<br />
in quanto “guerra di posizione” in una prospettiva semiriformista.<br />
E ciò è quanto in effetti accadrà per gradi <strong>su</strong>ccessivamente al PCI<br />
in sede ideologica e strategica: ovviamente per effetto di più fattori<br />
emersi sia nel quadro nazionale che in quello europeo, non certo semplicemente<br />
o prevalentemente per quest’incongruità ecc. in Togliatti,<br />
che può essere intesa solo come elemento facilitante. A quest’evoluzione<br />
inoltre erano <strong>su</strong>scettibili di concorrere sia la tesi di una lotta di classe<br />
orientata alla stabilità delle istituzioni, per quanto esse fossero quelle di<br />
una repubblica democratico-parlamentare sorta dalla Resistenza e cioè<br />
da una guerra di popolo, che la difficoltà, derivante largamente dall’unanimismo<br />
coatto di partito, a <strong>su</strong>perare la tesi di un’arretratezza italiana,<br />
quindi di un completamento da parte del movimento operaio di<br />
una rivoluzione borghese semimancata.<br />
Ma quello che a me pare il limite più significativo, quanto agli effetti<br />
reali di periodo, della posizione nel dopoguerra di Togliatti riguarda un<br />
aspetto della <strong>su</strong>a concezione del partito. Egli costruì, obbligato certo<br />
dalle circostanze ma anche per convinzione, un partito estremamente<br />
verticale, portatore quindi al <strong>su</strong>o interno di un altissimo livello di “inflazione<br />
di potere”, inoltre, con tutte le “intercapedini” che vogliamo,<br />
illiberale, nel quale il dissenso era visto con sospetto e la <strong>su</strong>a iniziativa<br />
era punita. Si tratta di una “struttura” che apre quasi necessariamente a<br />
processi involutivi di vario ordine, essendo sintonica all’esistente antro-<br />
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