Seminario su Gramsci - ART
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dere anche la questione dell’egemonia dei <strong>su</strong>balterni (del soggetto potenzialmente<br />
rivoluzionario, vettore della crisi sistemica della formazione<br />
sociale esistente): si può dirigere senza (ancora) dominare (e – come<br />
<strong>Gramsci</strong> puntualizza [41] – lo si deve fare, se si vuole conquistare anche<br />
il comando politico) proprio perché ogni articolazione della relazione<br />
sociale comporta dinamiche di scambio «intellettuale e morale», ed è<br />
quindi permeabile (con buona pace del dominante, che pure si avvale<br />
della funzione egemonica per esercitare il proprio potere) da istanze<br />
critiche e potenzialmente sovversive. Ma vediamo ora più da vicino i<br />
terreni nei quali l’egemonia si esprime, al di là dell’ambito elettivo (o<br />
apparentemente tale) della «società civile».<br />
Tra politica ed economia<br />
Come abbiamo letto nella nota di apertura del quaderno 12, la «direzione<br />
intellettuale e morale» del dominante si dispiega anche nell’altro<br />
«grande “piano” <strong>su</strong>perstrutturale», costituito dalla sfera politico-istituzionale:<br />
lo Stato in senso proprio, che, ovviamente, include anche (in<br />
primo luogo) apparati funzionali al dominio diretto.<br />
Se leggiamo con più attenzione proprio il § 88 del quaderno 6 (la critica<br />
alla concezione dello «Stato gendarme – guardiano notturno») nel<br />
quale a prima vista <strong>Gramsci</strong> scinde «società politica» da «società civile»<br />
e istituisce la corrispondenza esclusiva tra quest’ultima e l’egemonia, ci<br />
accorgiamo che il senso dell’argomentazione consiste invece nell’affermare<br />
che l’egemonia figura nel quadro delle funzioni proprie dello Stato correttamente<br />
inteso. L’idea che <strong>Gramsci</strong> fa valere (appunto contro l’economicismo<br />
sotteso alla posizione liberista) è che la politica non è riducibile<br />
al comando, alla forza, ma include necessariamente anche funzioni egemoniche<br />
(che, in quanto svolte dallo Stato, sono «corazzat[e] di coercizione»<br />
[764]).<br />
Con ancor maggiore evidenza questo filo di ragionamento emerge là<br />
dove <strong>Gramsci</strong> scrive a chiare lettere che «Stato è tutto il complesso di<br />
attività pratiche e teoriche con cui la classe dirigente [dirigente, e non è<br />
un caso che <strong>Gramsci</strong> usi qui questo termine, pur riferendosi alla classe<br />
dominante] giustifica e mantiene il <strong>su</strong>o dominio[;] non solo[,] ma riesce a<br />
ottenere [anche] il consenso attivo dei governati» [1765]. È un passaggio<br />
talmente limpido da non richiedere commenti. Salvo rammentare<br />
quanto <strong>Gramsci</strong> osserva a proposito della «doppia natura del Centauro<br />
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