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Seminario su Gramsci - ART

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che il movimento operaio ha pagato assai duramente. Quindi questo<br />

nodo spontaneità-direzione consapevole è il tratto fondamentale dell’esperienza<br />

dell’“Ordine Nuovo” che, a <strong>su</strong>a volta, è l’esperienza fondamentale<br />

di <strong>Gramsci</strong> dirigente politico, un’esperienza che lo segna in<br />

modo profondo e che resta nel <strong>su</strong>o stile di direzione e nella <strong>su</strong>a teoria<br />

del Partito.<br />

Il movimento dell’occupazione delle fabbriche, dei Consigli, viene<br />

sconfitto nel novembre del 1920, non dal fascismo (si noti) ma da Giovanni<br />

Giolitti (il fascismo viene due anni dopo).È Giolitti che, con una<br />

posizione assai lucida, duttile e intelligente, si mette d’accordo con il<br />

sindacato e le <strong>su</strong>e direzioni riformiste, cedendo qualcosa in termini sindacali,<br />

ma isolando completamente il movimento torinese in termini<br />

politici; così quel movimento non riesce ad estendersi nel resto del paese<br />

e viene sconfitto, aprendo le porte al fascismo.<br />

3. <strong>Gramsci</strong> dirigente del Partito<br />

Si conclude con la sconfitta del movimento dei Consigli la prima fase<br />

di <strong>Gramsci</strong> quella dell’“Ordine Nuovo”. E si apre una fase <strong>su</strong>ccessiva<br />

che possiamo definire del <strong>Gramsci</strong> dirigente del Partito, dirigente politico<br />

dell’Internazionale Comunista. C’è un rapporto assai stretto fra<br />

queste due fasi. Perché? Perché la prima conseguenza che <strong>Gramsci</strong>,<br />

come tanti altri compagni, traggono dalla sconfitta del movimento torinese<br />

è la necessità del Partito, essi comprendono cioè che non è possibile<br />

fare una rivoluzione senza un Partito rivoluzionario: è necessario un<br />

elemento che unifichi le lotte almeno a livello nazionale (e anche internazionale<br />

naturalmente), che metta in rapporto i diversi settori della<br />

classe, le diverse “forze motrici della rivoluzione” come allora si<br />

diceva), e nella fattispecie, nella situazione italiana, crei un legame stabile<br />

fra gli operai del nord e i contadini del <strong>su</strong>d. Questa è la prima riflessione<br />

che <strong>Gramsci</strong> trae da quella esperienza e da quella sconfitta.<br />

Fra le tre fasi della vita di <strong>Gramsci</strong> (il <strong>Gramsci</strong> dell’“Ordine Nuovo”, il<br />

<strong>Gramsci</strong> costruttore e dirigente del Partito e il <strong>Gramsci</strong> del carcere) c’è<br />

sempre (a me pare) una fortissima coerenza. A volte si parla di un<br />

<strong>Gramsci</strong> giovanile “anarchico”, e poi di un <strong>Gramsci</strong> del carcere più<br />

“moderato”, “togliattiano” e uomo di cultura, ma questa è una lettura<br />

revisionista di <strong>Gramsci</strong> che, in realtà, cerca di liquidare la sostanza rivoluzionaria<br />

e comunista del <strong>su</strong>o pensiero leggendolo in modo idealistico<br />

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