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Seminario su Gramsci - ART

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degli esecutori, fermo restando che cotali esecutivi, ove mai sia possibile<br />

insediarli nei “posti-chiave”, siano in ogni momento revocabili dagli<br />

stessi elettori. E’ un’utopia invecchiata? Ripensiamola e, all’occorrenza,<br />

modifichiamola.<br />

Ritengo che sia necessario studiare <strong>Gramsci</strong> per orientarci nella comprensione<br />

del nostro presente e per cominciare a capire come è possibile<br />

cambiarlo. Visto dal nostro osservatorio — dal tempo nel quale viviamo<br />

—, egli ci consegna: 1) un’originale e acuta diagnosi della società<br />

complessa 18 del <strong>su</strong>o tempo, tuttavia dissimile dalla maggiore e più contraddittoria<br />

complessità globalizzata del nostro tempo; 2) un’elaborazione<br />

di categorie fondamentali che, concepite da <strong>Gramsci</strong> per poter<br />

penetrare nella logica del <strong>su</strong>o tempo, sono valide anche per definire la o<br />

le società, l’economia, le culture e la politica dei nostri giorni. Sono valide<br />

con l’avvertenza che, sia per il prevalente contenuto storico dei<br />

Quaderni, sia per il loro carattere di provvisorietà e quindi per la loro<br />

scrittura frammentaria, vi sono in <strong>Gramsci</strong> un intreccio e una compenetrazione<br />

reciproca tra i diversi concetti categoriali. Perciò non possono<br />

gli interpreti o anche i continuatori di quel pensiero, compiere una<br />

trattazione scolasticamente separata di questa o di quella astratta categoria,<br />

del <strong>su</strong>o ambito storico-tematico, della <strong>su</strong>a applicazione alle situazioni<br />

concrete.<br />

Accenno a tre categorie interconnesse: <strong>su</strong>balternità, egemonia e rivoluzione<br />

passiva. Il concetto di «gruppi <strong>su</strong>balterni» ricorre con molta frequenza<br />

nei Quaderni perché indica un fenomeno tipico di quel tempo e<br />

ancor più del nostro. Quel concetto, di fronte al proliferare delle piccole<br />

imprese nel manifatturiero e nell’indotto (benché falcidiate dalle<br />

grandi nel commercio), si discosta dall’idea marxiana, o da certe <strong>su</strong>e interpretazioni<br />

schematiche, secondo le quali un’indifferenziata proletarizzazione<br />

farebbe precipitare nella condizione operaia i ceti medi e<br />

persino una parte della classe capitalistica; e può esprimere, invece, la<br />

complessità del lavoro, del non lavoro, della precarietà, dell’emarginazione<br />

mondiale, urbana o rurale, già in epoca fordista e ancor più in<br />

18 Luigi Vinci (Le alternative contro la crisi, in “Essere comunisti”, 13-14, 2009, p. 71) attribuisce<br />

a <strong>Gramsci</strong> «una <strong>su</strong>periore capacità interpretativa […] della complessità contemporanea<br />

delle formazioni sociali, dei processi politici e culturali della società capitalistica sviluppata,<br />

dei <strong>su</strong>oi rivoluzionamenti (che non sono semplicemente fatti strutturali)». Vi sono categorie<br />

gramsciane che as<strong>su</strong>mono caratteri nuovi nel mondo contemporaneo. Vinci considera<br />

infatti «rivoluzione passiva» le “riforme” di Obama (ivi, p. 73).<br />

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