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Seminario su Gramsci - ART

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il processo di sviluppo della società capitalistica avanzata), l’apertura di<br />

un canale discorsivo è sempre, potenzialmente, anche occasione di processi<br />

conflittuali, in quanto può incoraggiare l’instaurarsi di prospettive<br />

critiche e dare adito al costituirsi di soggettività antagonistiche individuali<br />

o collettive, più o meno complesse e strutturate 61 .<br />

Anche da questo punto di vista – che incontra un aspetto centrale della<br />

linea di ricerca sviluppata nel contesto dei Subaltern Studies, non per<br />

caso attenta alla riflessione gramsciana 62 – le considerazioni critiche di<br />

Perry Anderson appaiono alquanto opinabili. Come si ricorderà, Anderson<br />

ritiene di scorgere nella centralità dell’egemonia il segno di una<br />

attitudine ottimistica (per non dire apologetica) di <strong>Gramsci</strong> nei confronti<br />

della società borghese contemporanea 63 . Alla luce di quanto stiamo<br />

considerando si direbbe che il discorso vada piuttosto rovesciato.<br />

<strong>Gramsci</strong> riconosce la pervasività dell’egemonia (che informa di sé anche<br />

la relazione politica, tra governanti e governati) proprio perché<br />

vede il dilagare del rapporto di dominio (nella politica stricto sen<strong>su</strong> e in<br />

ogni ambito della relazione sociale) che si ammanta delle rassicuranti sembianze<br />

della relazione consen<strong>su</strong>ale. <strong>Gramsci</strong> non perde mai di vista la persistenza<br />

della violenza in senso proprio (dominio diretto, coercizione: in<br />

termini marxiani, «coazione extra-economica») ben dentro il rapporto<br />

61 All’ambivalenza della relazione egemonica, connessa alla complessità e strutturale ambiguità<br />

del consenso, faccio riferimento nel mio <strong>Gramsci</strong> storico, cit., pp. 103, 109, 111-2, 126.<br />

62 Per i Subaltern Studies il riferimento concerne in particolare gli studi di Ranajit Guha, dai<br />

quali emergono con chiarezza la dimensione re-attiva e produttiva delle culture dei dominati,<br />

nonché, di conseguenza, la relativa autonomia delle componenti sociali <strong>su</strong>balterne nell’elaborazione<br />

di forme di vita e di pratiche di lotta antisistemica. Si veda in particolare, al riguardo,<br />

The Politics of the Governed. Reflections on Popular Politics in Most of the World, Columbia<br />

University Press, New York 2004. Per l’inquadramento della linea di ricerca sottesa ai Subaltern<br />

Studies si veda la raccolta di saggi di R. Guha e G. C. Spivak Subaltern Studies. Modernità<br />

e (post)colonialismo, a cura di S. Mezzadra, ombre corte, Verona 2002. Curiosamente, tuttavia,<br />

tanto Guha (Dominance without Hegemony. History and Power in Colonial India, Harvard University<br />

Press, Cambridge, Mass.-London 1997, pp. 19-20 e 22-3) quanto Edward Said, altra<br />

figura di notevole rilievo della cultura critica contemporanea, anch’egli assai sensibile alla<br />

lezione gramsciana (cfr. Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, Feltrinelli, Milano 2006 5 ,<br />

p. 16) sembrano misconoscere la consapevolezza di <strong>Gramsci</strong> in ordine alla necessaria compresenza<br />

di dominio e direzione, col ri<strong>su</strong>ltato di allinearsi alle letture tradizionali (ed erronee)<br />

dei Quaderni per quanto concerne sia la pre<strong>su</strong>nta esclusione reciproca di egemonia e<br />

coercizione, sia la tesi secondo la quale l’egemonia costituirebbe un potere mite (sweet)<br />

mentre il dominio (che nel colonialismo inglese in India si presenta nella <strong>su</strong>a analisi privo di<br />

questa forza temperata) sarebbe il vero volto duro e inquietante del potere.<br />

63 Cfr. Anderson, Ambiguità di <strong>Gramsci</strong>, cit., pp. 72-90 e passim.<br />

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