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tutta l’estate, ma in seguito si capisce che ovviamente non<br />

può essere vero. Cargo è raccontato sotto forma di lettera a<br />

un uomo di Parigi. Durante il video, però, questa forma<br />

diventa troppo ridondante. Nelle ultime righe parlo di una<br />

telefonata che ho ricevuto da uno dei marinai. L’attrazione<br />

per il marinaio e per le persone che ho filmato, per me era<br />

diventata più importante <strong>del</strong> mio interesse a scrivere a<br />

quell’uomo. Alla fine, spiego, “Non sono riuscita a raccontarti<br />

tutti i posti dove sono stata.” Dopo Cargo ho capito<br />

che la forma <strong>del</strong>la lettera non era più adatta e che dovevo<br />

trovare una nuova strada. In seguito, con Border, ho avuto<br />

sempre la sensazione di non riuscire a comunicare quello<br />

che ho visto a Sangatte. Sapevo che per me era impossibile<br />

parlare dal punto di vista dei rifugiati e l’unica cosa che<br />

potevo fare era parlare di quello che potrà venire da una<br />

società che permette questa situazione. Sapevo che avrei<br />

potuto lasciare soltanto una traccia piccola e incompleta.<br />

Credo che Border sia un video pieno di solitudine in cui, io<br />

per prima, diffido <strong>del</strong> mio stesso tentativo di parlare. Nel<br />

voice-over ho cercato di dire il meno possibile e di parlare<br />

in modo comprensibile, nella speranza che il pubblico<br />

potesse ricordare l’incompletezza <strong>del</strong>le mie immagini.<br />

Negli ultimi istanti <strong>del</strong> video la telecamera si ferma sui fari<br />

anteriori di alcune macchine, mentre io mi rivolgo direttamente<br />

a un rifugiato. Con questo espediente volevo rovesciare<br />

la narrazione. Questo stesso rifugiato, infatti, mi<br />

aveva scritto una lettera spiegandomi che quando eravamo<br />

a Sangatte era stato costretto a mentirmi sulla sua vita.<br />

Si capiva che le cose erano molto più complicate di quanto<br />

io stessa potessi comprendere.<br />

headlights and I address one of the refugees directly. I wanted, by<br />

doing this, to turn the narrative on its head. The refugee who I<br />

address had, in fact, one day written to me to explain that, for<br />

certain reasons, when we were in Sangatte, he had had to lie to<br />

me about his life. There was the feeling that things were much<br />

more complicated than I could comprehend.<br />

Looked at today, there's a very clear sense of progression<br />

in your work. Did it feel like this for you when you made<br />

it, or would you say that this sense of order was something<br />

you were looking for in your life?<br />

I don’t really ever know where I’m going but later, when I look<br />

back at the work, I realise each film or video grew out of the one<br />

before. Somewhere in the making of a previous video, a new one<br />

starts to emerge, even if it takes me a while to recognise that. It<br />

often springs from something very small, a person I meet while<br />

I’m shooting, a face, a story. I can’t really impose it. It’s like with<br />

filming - it’s often just a process of waiting to understand, letting<br />

it suggest itself.<br />

Guardando al suo lavoro oggi, si vede un certo progresso. È stato<br />

casuale oppure lei cercava davvero di mettere ordine nella sua<br />

vita?<br />

In verità io non so mai dove sto andando realmente, ma se<br />

ripercorro i miei lavori vedo che ogni film o video nasce<br />

dal lavoro precedente. In qualche punto <strong>del</strong>la realizzazione<br />

di un video si può capire che nascerà un video <strong>nuovo</strong>,<br />

anche se io stessa ci metto un po’ a riconoscerlo. Spesso si<br />

tratta di un semplice particolare, una persona che ho<br />

incontrato mentre filmavo, un volto, una storia. Non posso<br />

forzarlo. È come quando si filma: spesso è solo questione<br />

di attendere che l’idea arrivi da sola.<br />

132<br />

41 a <strong>Mostra</strong> Internazionale <strong>del</strong> Nuovo Cinema

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