psichiatria italiana. Lo stesso Lumia poi ha seguito un’indagine di una commissioneparlamentare che ha indagato su tutti i manicomi, alcuni chiusi, altri no, per riuscirea portare a compimento l’opera reale di chiusura degli ospedali psichiatrici ein questo ci ha messo la passione che è sua propria.È stato nostro ospite anche lo scorso anno: è un amico particolare de “Le paroleritrovate”.GIUSEPPE LUMIADeputato, Membro della Commissione Affari Sociali, RomaVi chiedo scusa del ritardo, ma la nebbia ha annebbiato il cervello del pilotache si è spaventato e ci ha portato a Brescia. Speriamo che non l’abbia annebbiatoanche a me. Sono molto contento di essere qui, perché l’esperienza che ho fatto convoi nel convegno ‘Le parole ritrovate’ dello scorso anno hanno fatto anche a meritrovare un po’ di parole ed anche un po’ di responsabilità. So che avete fatto unbuon lavoro sino adesso e sono molto contento che avete scelto Artuto Paoli per lasua esperienza profetica. È una persona che sa entrare dentro la nebbia, squarciareil tempo, e dare delle speranze solide.Sono molto contento per questo cammino che state facendo. Io vorrei continuarecon voi, per quel poco tempo che ho a disposizione, quella riflessione cheabbiamo iniziato insieme lo scorso anno, anche se so che c’è una buona parte dipersone nuove. Lo scorso anno proposi una pista di lavoro, che poi si può riassumerein parole molto semplici. Noi, in questo nostro tempo, non abbiamo bisognodi persone che si tuffano col cuore pieno di valori, con la testa ricca di contenutiper ‘fare per’. Facciamo per gli anziani, facciamo per le persone che hanno delledifficoltà, lavoriamo nel disagio mentale pensando che noi abbiamo tutto chiaro edobbiamo fare per, dobbiamo fare bene per loro, dobbiamo organizzare bene perloro.L’anno scorso dicevamo che bisogna ‘fare con’. Fare con loro, ascoltare loro,coinvolgere loro. Naturalmente ‘fare con’ non si improvvisa. Non è che ti alzi lamattina e dici: “Adesso faccio con”. Il ‘fare con’ è una dimensione che richiedeformazione, richiede un cuore diverso, che richiede un approccio culturale moltoaperto, disponibile a mettersi in gioco e quindi non è una cosa che si può improvvisare.Richiede un itinerario, un cammino.Il fare con non nasce spontaneo. Nella nostra società nasce spontaneamente ilfare per, perché tutto spinge verso il fare per. Anche adesso, in questo particolaremomento storico arrivano i nostri e sistemiamo il mondo. Arriva l’Occidente emette tutto a posto. Facciamo per loro, facciamo per il mondo. Invece fare con ilmondo è più complicato. È una dimensione più ricca, dà più valori sani. Il fare perspesso ha bisogno di prodotti manipolati geneticamente perché deve riempire e devegonfiare, come la carne, che poi, però, quando si arrostisce squaglia. Il fare conmette gli ingredienti sani, ma questi ingredienti sani per farli crescere, come neicampi, richiede più fatica, più attenzione, più cura. I diserbanti chimici ci accor-103
ciano i tempi e il lavoro, invece far crescere naturalmente quel prodotto devi seguirlodi più, devi curarlo di più, devi avere più amore per quella cosa che fai. Nonritengo che sia la ricetta miracolistica, ma ritengo che sia un itinerario che dobbiamopercorrere. Oggi il mondo si deve aprire a questa dimensione.Il fare con - ecco la novità di quest’anno - penso che richiede più progettualità.Il fare con non è una cosa che nasce spontaneamente sotto il cavolo, ma è una scelta,un’idea, un modo di essere che ci costringe a passare dall’idea del progettoall’idea dell’autoprogetto. L’idea del progetto sta al fare per: io devo fare per, devofare bene e devo quindi “progettare”. Io progetto e tu sei il contenitore della miarealizzazione. Invece l’autoprogetto sta al fare con. L’autoprogetto richiede: “Alzatie camminiamo insieme, mettiamoci in gioco insieme, ideiamo insiemel’intervento che dobbiamo fare”. E nel disagio mentale questo - lo sapete - è fondamentale.Dobbiamo ideare insieme le cose che vogliamo fare, perché spesso lenostre idee non corrispondono a quelle delle persone con le quali dobbiamo fare unitinerario, un cammino. Allora ideare insieme è la cosa più bella. Nel mondo non sipensa insieme. Le idee non si condividono. Invece mescolare le idee, metterle ingioco rende quelle idee più ricche, più feconde, le migliora e quindi l’autoprogettoha bisogno di tanta condivisione nel campo delle idee. Nello stesso tempo ha bisognodi individuare i percorsi, gli obiettivi, i tempi, i modelli organizzativi. Tuttobisogna fare insieme.Ecco perché nel mondo dobbiamo superare questo momento: l’idea della cosiddettaglobalizzazione, così com’è, che si nutre di violenza, di arroganza. Che sinutre anche di modelli non violenti, non arroganti, ma sempre modelli progettuali.Ci sono state altre fasi storiche in cui l’Occidente, l’Europa, calava dall’alto dellasua presunzione i progetti di cooperazione allo sviluppo, andava in quei paesi e decidevaquello che si doveva fare lì. Anche cose buone, ma decise unilateralmente.Ti faccio l’ospedale, ma non si è deciso insieme che bisogna fare l’ospedale. Non siè deciso insieme che bisogna fare il campo per produrre. Non si è deciso insiemeche bisogna fare l’altro tipo di intervento: la scuola, qualunque altra cosa. Vengoio, e siccome io leggo il tuo bisogno, io capisco che tu hai bisogno dell’ospedale telo faccio. Ma poi, quell’ospedale, non dà buoni risultati, e come mai? E poi lì scattanoi razzismi striscianti. Forse queste, in fondo in fondo, sono persone che voglionostare in condizioni primitive. E lo stesso vale nel disagio mentale. Ma come,io penso per lui, poi quello magari, rifiuta e mi dà una sberla. In fondo in fondopenso: “Ma poi, alla fine, se lo rinchiudo e lo costringo forse mi dà più risultati”.Perché, appunto, alla radice il bene sbattuto in faccia non è bene. Il bene sbattutoin faccia non produce niente di buono. Tu puoi avere le migliori intenzioni delmondo, puoi essere motivato come vuoi, puoi essere ricco dei migliori valori che turiesci a raccogliere in giro per l’umanità, ma poi quando prendi questo bene, losventoli e lo sbatti in faccia, quel bene si disperde, diventa un boomerang e allora,piuttosto che essere tu a cambiare il tuo modo di approccio, alla fine metti da parteil bene e cominci a condividere il male.Ecco perché abbiamo bisogno di autoprogetto. Abbiamo bisogno a tutti i livellidi autoprogetto. Le famiglie, piuttosto che progettare per i figli: dalle due allequattro ti porto a fare il corso di lingue, poi ti porto a fare lo sport, poi ti porto a farepiano. I figli sono dei pacchi postali, e le famiglie sono delle realtà che erogano104
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