È evidente che il suo iter e la nostra relazione non siano stati privi di opposizionie conflitti: spesso aveva manifestato il desiderio di abbandonare il corso incorrispondenza a suoi stati di insoddisfazione, talvolta legati alle piccole e grandidifficoltà relative allo specifico corso, altre volte connesse alla propria vita privata.In questi momenti, ho dovuto far leva sulle mie risorse personali e sull’aiutodegli operatori della struttura. Ho tentato di improntare la relazione sul riconoscimentodelle proprie abilità, riscontrando in lei il rinnovamento dell’interesse pertale attività. Con queste mie continue “messe in gioco”, ho ottenuto una presenzacostante da parte sua, finalità importante per la riuscita del progetto.In quelle situazioni ritengo che l’uso della chitarra abbia avuto una valenzapuramente funzionale legata alla fisicità, alla materialità del gesto, inteso come alleviamentodi una tensione interna attraverso la scarica motoria ma, in taluni casi,anche la fierezza, spesso ribelle, di esternare e oggettivare la propria psichicità.I laboratori, non solo quello di chitarra, ma anche quello di danza e cartonaggio,hanno pertanto contribuito a far conoscere e sviluppare le parti sane di Katiaaiutandola a ricostruire un’immagine di sé più integrata.Personalmente la relazione emotiva che si è creata tra noi in questi anni, è statafonte di enorme crescita. Essa, mi ha dato modo di ‘mettermi in discussione’,creando forti stati emotivi.Ho imparato sulla mia pelle a gestire quei vissuti che - secondo Bion - richiedono,da parte del conduttore, capacità negativa, ossia il saper sostare nel dubbiotollerando i momenti di stasi e incertezza che si presentano all’interno della relazione.Molte volte si pensa che il proprio lavoro sia inutile e che dall’altra parte ci siauna persona alla quale non interessa quello che le stai offrendo, che non è minimamenteinteressata e ricettiva ai tuoi input. Altre volte poi, quando meno te lo a-spetti, noti un guizzo, un miglioramento che, seppur minimo, ti ripaga di tutti gliattimi di sconforto e frustrazione che hai vissuto.Il giorno del saggio, ai fini didattici, è il momento di verifica attraverso il qualesi può denotare la capacità delle ragazze ad autocontenere la propria ansia, attraversolo strumento. Sinceramente, non sono molto interessato alla corretta esecuzionetecnica della prestazione, poiché il vero successo è dato dal fatto che le ragazzetrovino il coraggio di salire sul palco mostrandosi a persone, anche a lorosconosciute, potendo dire “Ecco io sono così’”.In questo modo mostrano la capacità di tollerare anche un eventuale errorenell’esecuzione, poiché salendo sul palco hanno già fatto un grande passo avantisulla via dell’autostima e dell’autoaccettazione.Oggi, sono davvero entusiasta di portare dentro di me il ricordo di quella ragazzache quattro anni fa è entrata in alloggio vacillando per la sua fragilità e di poterlapensare donna autonoma in grado di sorreggersi sulle proprie gambe.Riportiamo ora la lettura di alcune cose che Katia avrebbe voluto dirci oggi,ma che impegni di lavoro le hanno impedito di farlo personalmente.155
BRUNA CIMENTIComitato Italiano per il Reinserimento Sociale, GenovaIo riporterò la lettura fedelmente. La lettera l’ho scritta io sotto dettatura. Katiaci teneva tantissimo ad essere qua oggi, perché era veramente motivata di dare lasua esperienza diretta.Mi chiamo Katia ed ho 28 anni. Non sono potuta venire di persona al Convegnoper impegni di lavoro, ma ho deciso di scrivere due righe con l’educatrice delballo.Ho deciso di dare il mio contributo per far capire quanto mi sia stato utile starein una casa alloggio e per raccontare le difficoltà nei rapporti con le altre ragazze,con gli educatori e con gli operatori.Ho fatto un percorso di tre anni, perché ho avuto problemi di insicurezze sume stessa e sulla mia famiglia ed il periodo trascorso al CIRS mi ha aiutata ad usciredal mio guscio.Quando sono entrata avevo necessità di crescere e di vedere quanto potevo tirarefuori di me stando al di fuori della famiglia. Ho avuto problemi di anoressia,malattia che è durata per sette anni, causata da una non stima di me.Dopo i tre anni in Comunità ho iniziato una vita più o meno autonoma.Nel periodo in cui vivevo lì, ho conosciuto molte persone che mi hanno spronataaffinché capissi quanto è importante volersi bene.Oggi ho una vita, un lavoro e mi sono resa conto che i troppi problemi, la miachiusura, mi avevano impedito di godere del piacere delle relazioni con gli altri.Ora posso dire di essere cresciuta, anche se ho un’altra strada da percorrere: devoimparare a non credere a quello che gli altri dicono, magari in modo maligno, madevo considerare di più ciò che penso io, quello che sono, parlando con la gente,non urlando, scoprendo che ogni giorno ritrovo qualcosa di me. Per esempio il miocorpo. Sono diventata più femminile grazie a Bruna, al corso di ballo e ad una amicache ho conosciuto nel soggiorno in Alloggio e che per me era come una sorella,ci prendevamo cura una dell’altra. Oggi il nostro rapporto non è più morboso, masempre molto importante. Ho scoperto di saper fare molte cose che non credevo: hoimparato a ballare, a suonare la chitarra, a fare lavori di manualità, riconoscendomidelle capacità, realizzando di saper esprimere la mia arte.Ringrazio di essere stata aiutata dagli altri educatori, ai quali voglio molto bene,perché mi hanno insegnato cose importanti, a parlare nei colloqui di lavoro, intutte le piccole e grandi cose della vita quotidiana.Sì, la sofferenza è sofferenza, ma la vita ha tantissime cose belle e positive.Uscire da un tunnel che ti possiede solo perché eri tu a volerlo, perché avevipaura di non riuscire a vivere ancora con tanta pena dentro, è stato come nascereper la seconda volta. E ci si riesce cercando di essere più sicuri di sé. Ho scopertoche tutte le persone hanno paura, anche quelle che non hanno avuto problemi, quelle‘normali’. E per questo ora mi sento bene, e non mi giudico più anormale.Bisogna tirare fuori la grinta, anche quando è difficile, affidandoci alle cure,perché è il più bel regalo che ci possiamo fare.Esistiamo anche noi, ed ora dobbiamo dimostrarlo.Raccontato da Katia, con orgoglio.156
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