ANTONIO PEL<strong>LE</strong>GRINO“Tam Tam”, TorinoMi chiamo Antonio Pellegrino, vengo da Torino ed il nostro giornale si chiama“Tam Tam”. Volevo tornare un po’ al discorso iniziale. Anch’io sono allergicoalla parola coordinamento, perché presuppone delle azioni, una direzione, un obiettivoe non so se è quello che vogliamo tutti noi che siamo qui. Sarei più per un nomeche riporti a parole come informazione, incontro, rete, scambio, o qualcosa delgenere, perché tanto ognuno manterrà la sua identità, ognuno farà il giornale comepreferisce farlo, ognuno penserà che il suo è più bello di tutti, ed è bello così, secondome. Dopodiché è giusto che ci sia uno scambio delle esperienze, delle informazionie ci possa essere una rete delle redazioni in modo tale da poter fare questiincontri un po’ ovunque. Poi sul simbolo va bene qualsiasi cosa, perché non èfondamentale. Vorrei aggiungere solo una cosa. Se effettivamente questi incontridevono essere incontri di scambio e di informazione, forse le dotte disquisizioninon ci servono tanto.NICOLA CRISTINI“Centro pagina”, Schignano, PratoMi chiamo Nicola Cristini e rappresento “Centro Pagina”, il giornalino, giornale,rivista - che dir si voglia - di Schignano in provincia di Prato. Mi vorrei attenereal soggetto, non al simbolo. Ecco, anch’io non sono d’accordo sul coordinamento,perché non lo vedo bene. Piuttosto - i nostri - li chiamerei incontri, perchéabbiamo già un archivio, come ci ha riferito la dottoressa Zaccardi, abbiamo “LaDalia” alla quale ognuno di noi, ogni redazione può mandare gli articoli più significativiche ritiene opportuno mandare. Io farei più volentieri degli incontri organizzatida una redazione che se lo può permettere, tipo Liberalamente, che ha tanterisorse. Noi non abbiamo manco il computer. Questa è un’altra cosa da dire: noisiamo soci della Cooperativa Alice di Prato, che gestisce un Centro diurno e unaCasa famiglia della ASL 4 di Prato. Può darsi che sia l’unico tra tutti voi ad apparteneread una Cooperativa che gestisce completamente un servizio di una ASL.Siccome la nostra cooperativa non ha tanti soldi, il nostro giornalino lo stampo conil computer che ho a casa. Quello vecchio che avevamo si è rotto ed ora la CarlaCappelli della redazione di “Spiragli”, che conosce qualcuno alla Regione Toscana,mi ha fatto fare una domanda per avere un computer “disabilitato”, così si chiamanoquelli messi in disuso da un ente. Dicevo, vedo l’incontro organizzato da unaredazione, da un gruppo di redazioni, oppure, chi avrà le idee giuste per organizzareun incontro, chiederà l’aiuto a tutte le altre redazioni, dicendo: “Ci date una manoad organizzare il prossimo incontro?”. Questa può essere un’idea.Per quanto riguarda le parole - come ci ha detto Leonardo - sono rimasto perplesso.Io il pane lo chiamo “pane” e lo vorrei ancora chiamare pane. Non ho capitobene perché trovare parole nuove a degli oggetti, a delle sensazioni. Magari unpoeta si formerà in quel senso là, in quella direzione là.61
Tornando al nostro giornalino, quando lo scriviamo noi lo usiamo anche comemomento di auto aiuto, perché lo facciamo tutti assieme, perché parliamo tutti assieme.Nel nostro ultimo numero, per esempio, si parlava della “mia più bella vacanza”,raccontando le nostre emozioni. Un ragazzo ci diceva: “Mi ricordo diquando avevo 12 anni che sono andato a Viareggio in vacanza e non passavo maidal Viale dei Tigli”. Noi gli chiedemmo: “Perché non passavi mai dal Viale dei Tigli?”.“Perché - ci rispose - lì abitava Ermanno Lavorini”. (Ermanno Lavorini, unragazzo di 13 anni, che, nel 1968, fu trovato morto sulla spiaggia di Marina diVecchiano, vicino a Viareggio. N.d.r.). Lui si ricordava di quel fatto e da lì è natotutto un racconto, dove sono intervenuti tutti gli altri. Qualcuno ricordava meglioquel fatto. È venuto fuori che quel ragazzo portava dentro di sé ancora quella anticapaura.Oggi abbiamo assistito ad un’altra tragedia ben più grave: quella delle Torri diNew York e molti hanno avuto ancora più paura. Questi tipi di tragedie ci riportanoindietro di tanti anni nel lavoro che abbiamo portato avanti nei gruppi di auto aiuto,nel cercare di tranquillizzare le persone. Ecco, io vorrei dire che dovremmo esseretutti quanti contro queste tragedie e condannarle decisamente. Grazie.EMILIO PORCARO“La tribù del Boldù”, VeneziaIo sono un membro della redazione della Tribù del Boldù. Prima di tutto vorreichiedere scusa al mio capo redattore ….. E questo non lo dico formalmente, lodico nella sostanza, perché ogni volta che noi interveniamo nella discussione ediamo indicazioni, delle forzature verso i nostri pazienti che frequentano i nostrigiornali, facciamo quasi sempre un danno ed un errore. In questo senso e con questapremessa voglio dire che noi, alla Tribù del Boldù. da quando è nata ha sempredato , come metodo , una parola piena e si è riportato il più fedelmente possibile leindicazioni che venivano dalla discussione del giornale.A volte, però, questo nostro volere trova delle difficoltà poi in senso pratico,perché praticamente non riusciamo ad ottenerlo sempre. In questo senso, io chiedoun po’ a tutte le altre redazioni , se può rappresentare una fortuna la formazione diun coordinamento se prima, non è venuta fuori dalle singole redazioni la necessitàdi coordinarci con una un’unica testata.Ecco io chiedo, prima di tutto questo.Poi volevo un po’ riprendere una frase che è stata detta. Le parole che vengonoscritte, se si utilizza questo metodo, il prodotto viene fuori dalla discussione èun prodotto vivo. Beh, è verissimo se riusciamo a riportare fedelmente quello chepensiamo, quello che è stato discusso. Quindi io mi attengo un po’ a questo metodoe in questo dico che, soprattutto, il linguaggio che noi dobbiamo utilizzare nelle redazioninelle discussioni deve essere un linguaggio che attiva i nostri utenti e lirende partecipi. In questo senso mi associo alla velata proposta di essere più chiaripossibili quando parliamo. Soprattutto perché abbiamo di fronte delle persone chepossono venire da una diversa formazione rispetto alla nostra.62
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CARLA NOLLEDICentro di salute menta
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mi, anzi, c’è bisogno di essere
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Maurizio, un cittadino, nel senso c