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LE PAROLE RITROVATE

Convegno nazionale di Trento 2001 - Le Parole Ritrovate

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ciano i tempi e il lavoro, invece far crescere naturalmente quel prodotto devi seguirlodi più, devi curarlo di più, devi avere più amore per quella cosa che fai. Nonritengo che sia la ricetta miracolistica, ma ritengo che sia un itinerario che dobbiamopercorrere. Oggi il mondo si deve aprire a questa dimensione.Il fare con - ecco la novità di quest’anno - penso che richiede più progettualità.Il fare con non è una cosa che nasce spontaneamente sotto il cavolo, ma è una scelta,un’idea, un modo di essere che ci costringe a passare dall’idea del progettoall’idea dell’autoprogetto. L’idea del progetto sta al fare per: io devo fare per, devofare bene e devo quindi “progettare”. Io progetto e tu sei il contenitore della miarealizzazione. Invece l’autoprogetto sta al fare con. L’autoprogetto richiede: “Alzatie camminiamo insieme, mettiamoci in gioco insieme, ideiamo insiemel’intervento che dobbiamo fare”. E nel disagio mentale questo - lo sapete - è fondamentale.Dobbiamo ideare insieme le cose che vogliamo fare, perché spesso lenostre idee non corrispondono a quelle delle persone con le quali dobbiamo fare unitinerario, un cammino. Allora ideare insieme è la cosa più bella. Nel mondo non sipensa insieme. Le idee non si condividono. Invece mescolare le idee, metterle ingioco rende quelle idee più ricche, più feconde, le migliora e quindi l’autoprogettoha bisogno di tanta condivisione nel campo delle idee. Nello stesso tempo ha bisognodi individuare i percorsi, gli obiettivi, i tempi, i modelli organizzativi. Tuttobisogna fare insieme.Ecco perché nel mondo dobbiamo superare questo momento: l’idea della cosiddettaglobalizzazione, così com’è, che si nutre di violenza, di arroganza. Che sinutre anche di modelli non violenti, non arroganti, ma sempre modelli progettuali.Ci sono state altre fasi storiche in cui l’Occidente, l’Europa, calava dall’alto dellasua presunzione i progetti di cooperazione allo sviluppo, andava in quei paesi e decidevaquello che si doveva fare lì. Anche cose buone, ma decise unilateralmente.Ti faccio l’ospedale, ma non si è deciso insieme che bisogna fare l’ospedale. Non siè deciso insieme che bisogna fare il campo per produrre. Non si è deciso insiemeche bisogna fare l’altro tipo di intervento: la scuola, qualunque altra cosa. Vengoio, e siccome io leggo il tuo bisogno, io capisco che tu hai bisogno dell’ospedale telo faccio. Ma poi, quell’ospedale, non dà buoni risultati, e come mai? E poi lì scattanoi razzismi striscianti. Forse queste, in fondo in fondo, sono persone che voglionostare in condizioni primitive. E lo stesso vale nel disagio mentale. Ma come,io penso per lui, poi quello magari, rifiuta e mi dà una sberla. In fondo in fondopenso: “Ma poi, alla fine, se lo rinchiudo e lo costringo forse mi dà più risultati”.Perché, appunto, alla radice il bene sbattuto in faccia non è bene. Il bene sbattutoin faccia non produce niente di buono. Tu puoi avere le migliori intenzioni delmondo, puoi essere motivato come vuoi, puoi essere ricco dei migliori valori che turiesci a raccogliere in giro per l’umanità, ma poi quando prendi questo bene, losventoli e lo sbatti in faccia, quel bene si disperde, diventa un boomerang e allora,piuttosto che essere tu a cambiare il tuo modo di approccio, alla fine metti da parteil bene e cominci a condividere il male.Ecco perché abbiamo bisogno di autoprogetto. Abbiamo bisogno a tutti i livellidi autoprogetto. Le famiglie, piuttosto che progettare per i figli: dalle due allequattro ti porto a fare il corso di lingue, poi ti porto a fare lo sport, poi ti porto a farepiano. I figli sono dei pacchi postali, e le famiglie sono delle realtà che erogano104

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