“Ad ogni incontro, noi soci, condividiamo dolore, forza e speranza. Viviamoquotidianamente fra mille difficoltà che a volte ci sembrano insormontabili”.“Frequentare un gruppo di pari è molto importante, perché si può dare e trovarequella comprensione e quella forza che ci permettono di affrontare più serenamentela vita. Nel gruppo acquistiamo più sicurezza e perciò stima di noi stessi equindi più capacità di gestire il rapporto con il nostro familiare ammalato e con glialtri membri della famiglia. Impariamo a guardare noi stessi e a compiere il camminospirituale che ci aiuta a crescere come persone. È consolante capire che almenouna realtà possiamo cercare di cambiare in meglio e, cioè, la nostra”.“L’aspetto più bello del gruppo è quello della gratuità in cui avviene lo scambiodi aiuto. Questa impostazione permette a ciascuno di realizzare il proprio camminodi recupero, perché è liberà, pulita da qualsiasi altro tipo di interesse che potrebbedisturbarne l’evoluzione”.Ci sono dei momenti veramente duri e, soprattutto, mi sembra interessantequesta osservazione. Un familiare dice:“La mia è una grande fatica di vivere. Credo che molti uomini, anche non eccezionali,possano essere capaci di compiere un atto di eroismo o di sopportare alcuniperiodi particolarmente difficili della propria vita. Trovo che è quasi al limitedella tollerabilità vivere con dignità una quotidianità come la nostra”.ANNALISA GRIFALCONICentro Diurno, Portogruaro, VeneziaIo ho preparato due scritti. Non so se sono proprio pertinenti con quello cheabbiamo detto oggi e non so neanche se sono tutta farina del mio sacco, perché hopreso molto a prestito e, se li ascoltate molto attentamente, capirete subito da chi.Comincio con il primo. C’è un po’ una difficoltà ad abitare insieme, perché lepersone pazienti sono abituate a trattare con persone che sono già in grado di autoregolarsie che non dipendono da altri. Così, quando i pazienti si trovano insiemead altri, non sanno se gli sono superiori od inferiori e che relazione anche di potere,in termini di autonomia, intrattenere con essi. Questa abilità, purtroppo, non si puòinsegnare, se non proprio nella reciprocità della vita vissuta. Così la soluzione deiproblemi di coabitazione sta nella scelta degli individui e nella loro sensibilità reciprocadi apprendere degli insegnamenti senza mettersi in una posizione di comandoe di ubbidienza, ma di cooperazione educativa.Voglio spendere due parole, ma proprio due, sul lavoro. Per mia personale e-sperienza mi sono resa conto che i metodi essenziali per espletare un processo dilavoro sono due e nascono direttamente dal modo di guardare: uno connotativo,puntuale; l’altro denotativo e, per così dire, estensivo. Sì, perché noi un problemada risolvere, cioè un lavoro, lo possiamo affrontare sotto due aspetti: uno particolare,prendendo in analisi ogni periodo di quel determinato processo, oppure generale,osservando una causa effetto e il suo sviluppo.135
Le persone intelligenti, credo, usano simmetricamente queste due abilità riuscendoad adattare i due sistemi compatibilmente fra di loro a seconda che il casolo esiga, ma questo è un caso che a noi non riguarda. Le persone con handicapspesso usano uno solo dei due metodi a seconda che siano più sotto l’influssofemminile o sotto l’influsso maschile.Ad operare insieme i due metodi, anche solo dal punto di vista linguistico, perl’istruttore lavorativo, anche se egli lo fa spontaneamente, può ingenerare un conflittodal punto di vista maschile del paziente e quello femminile. Anche se ciò èmeno produttivo dal punto di vista della fase lavorativa, è meglio seguire passopasso la fase puntuale, anche se essa è monopolizzante, oppure quella estensiva, selo è allo stesso pari. Nel far ciò si può aiutare con il linguaggio ad osservare le coseda un punto o dall’altro punto di vista. Solo in un secondo momento, quando essi sisaranno sviluppati alla pari, si potrà usare l’uno metodo o l’altro, a seconda che siapiù conveniente da un punto di vista professionale. Grazie.MAURIZIO CAPITANIOAssociazione La Panchina, TrentoBuona sera. Sono Maurizio. Sono un socio de La Panchina, un Associazionedi auto aiuto di Trento.Penso sia bello portare la mia testimonianza come “cittadino”. Un anno fa, inquesta sala ricordo che avevo detto che avevo provato paura ad entrare in questarealtà, in questo gruppo, perché pensare alla psichiatria mi rendeva un po’ timoroso.Però, dopo un anno, posso dire che ho trovato delle persone vere, delle personeche hanno sempre la voglia di aiutarmi. Io faccio il carrozziere e quando arrivo algruppo il giovedì sera sono spesso stanco e in loro trovo sempre la forza di continuare.Questo è bello.Per me è importante fare un passo alla volta. Ho scelto di fare questa cosa,perché, prima di tutto, mi piace, ci credo e vedo che mi dà piacere, non solo a me,ma anche alla mia famiglia. Questo credo sia bello e poi pensare di fare qualcosa inquesta società, non è male. E vedo che qualcosina si sta ottenendo, anche sul lavoro.Lì ho portato la mia testimonianza, parlo con i miei compagni e mi chiedonocome va.Come persona, avere la possibilità di parlare con persone che hanno questi disagi,mi dà gioia. Tutto questo è bello, è una cosa stupenda. Vi ringrazio.136
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