MARIA GRAZIA BALCISERIGruppo Appartamento, Adro, BresciaSe questa relazione avesse un titolo sarebbe “Abitare per crescere, crescere perabitare”. Abitare e crescere costituiscono due parole chiave per comprendere il sensodell’esperienza che verrà tra breve descritta. Il rimando dall’una all’altra ben e-sprime l’esistenza di un interazione tra le due dimensioni.Accennerò inizialmente ad alcune riflessioni inerenti l’abitare, sottese al lavororesidenziale nel Gruppo Appartamenti di Adro di cui verranno successivamentetratteggiate alcune caratteristiche salienti.Una prima riflessione è che stare in uno spazio non significa necessariamenteabitarlo.Nella nostra quotidianità abbiamo occasione di soggiornare in diversi spazi manon per questo li abitiamo tutti. Anzi noi ne visitiamo parecchi ma sono ben pochiquelli che abitiamo.È interessante a questo punto domandarsi cosa significa con precisione abitare.Possiamo affermare che “abitare” significa “stare all’interno di un luogo permeandoe modellando lo spazio stesso (sia materiale che di rapporto) in funzionedella nostra presenza, del nostro modo di essere e di porci”.Nel luogo tradizionalmente abitato - la casa - gli oggetti trovano un posto chenoi gli assegniamo o che accettiamo sia quello che gli hanno loro assegnato. La curacon cui li teniamo e l’uso che ne facciamo sono testimonianze di come noi ci situiamoentro quello spazio, che è nel contempo un luogo di incontro e di interazionecon altre soggettività che si esprimono anch’esse a livello abitativo nel medesimospazio.Per poter abitare occorre pertanto un luogo-casa che ci consenta di stare al suointerno e di esprimerci attraverso il modo in cui si presenta e in cui la condividiamocon gli altri.Cercando una immagine esemplificativa, potremmo dire che abitare una casa èmolto simile a ciò che avviene quando indossiamo un abito. Quest’ultimo ha dellesue caratteristiche ben precise, ha una certa foggia, uno o più colori, una sua caratterizzazione.Quando lo indossiamo inevitabilmente viene ad assumere un aspettoche risente molto delle caratteristiche del corpo che lo accoglie e quindi potrà apparircibello, ma abbondante, oppure stretto in alcuni punti, con un colore che non stabene alla persona, oppure in grado di essere comodo e funzionale.Così è per la casa. La casa esiste anche indipendentemente da noi tuttavia nelmomento in cui vi entriamo in contatto, questa non può non risentire del nostromodo, qualsivoglia sia, di esserci al suo interno.Significativo è ciò che scrive il filosofo Galimberti rispetto all’abitare: “abitare[…] è sentirsi a casa, ospitati da uno spazio che non ci ignora, tra cose che diconoil nostro vissuto, tra volti che non c’è bisogno di conoscere perché nel lorosguardo ci sono le tracce dell’ultimo congedo. Abitare è sapere dove deporrel’abito, dove sedere alla mensa, dove incontrare l’altro [….] Abitare è trasfigurarele cose, è caricarle di sensi che trascendono la loro pura oggettività, […] per resti-35
tuirle ai nostri gesti ‘abituali’ che consentono al nostro corpo di sentirsi tra le ‘suecose’, presso di sé”.Nel percorso esistenziale ciascuno di noi nasce all’interno di una casa già abitatadai genitori. Man mano che si procede nel cammino di crescita lo spazio delfiglio in casa va aumentando di pari passo al crescere della propria individualità. Illuogo viene pertanto abitato in modo diverso in funzione del modificarsi del proprioessere. Da adulti lo spazio-casa dei genitori dovrebbe risultare inevitabilmentestretto e sempre meno in sintonia con l’esigenza di vivere in un ambiente che rispecchile proprie esigenze. Questa diviene la molla che fa rivolgere all’esterno, incerca di una propria abitazione.Un’altra riflessione, alla base di questa esperienza, è che ciò che manca oggigiornosono spazi da abitare entro cui sperimentarsi senza vincoli familiari. Poiqui farò una precisazione, perché oggi si è parlato molto di famiglie alternative, chemi sembra stiano all’interno e in linea con questo tipo di riflessione, perché nellanostra cultura il modo consueto di organizzarsi rispetto all’abitazione è di vivere infamiglia, nella famiglia d’origine prima e in quella acquisita poi, con un passaggiodiretto da una famiglia all’altra e con rarissime esperienze di autonomizzazione a-bitativa intermedia.Pensando alle esperienza di vita nostra, come pure di altre persone che ci circondano,notiamo quanto sia raro che qualcuno, per un segmento della propria esistenza,non abiti continuativamente in famiglia. In genere questa situazione si creapiù frequentemente da studenti, se ci si reca in una università fuori sede, o menospesso da lavoratori, se si è costretti a spostarsi lontano da casa; infine capita se siresta soli per una separazione o per la scomparsa dei familiari.Le evenienze descritte sono spesso vissute più come frutto di una particolarecontingenza che non come una vera e propria opportunità, non riconosciutanell’intrinseco valore che possiede.Un abitare che si situa come spazio possibile fra l’appartenenza a due famigliein cui si ricoprono ruoli diversi di figlio/a nella prima e di marito/padre o di moglie/madrenella seconda.Disporre di uno spazio di mezzo fra le due vuol dire poter far conto su unospazio di transizione in cui mettersi in gioco senza un ruolo definito se non quellodi persona meno vincolata da legami di parentela e più presente come specifica individualità.E direi che questo può funzionare altrettanto bene nelle famiglie chenon siano la prima e la seconda, cioè quella da cui proveniamo e quella acquisitache costituiamo.Una terza riflessione è che abbiamo bisogno di due case, quella esterna equella interna.Il tema della casa e dell’abitare è tutt’altro che trascurabile, non solonell’accezione abituale che noi diamo a questi termini, ma anche rispetto alle implicazionipsicologiche.In genere parlare di bisogno di casa fa subito associare la necessità di un luogoesterno dove poter risiedere, stare di casa, trovare possibilità di risposta ai bisogniprincipali, condividere i propri momenti più privati con dei familiari. Un luogo checi accoglie sia nelle nostre necessità materiali che emotive.36
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