ROBERTO PEZZANODipartimento di salute mentale, CataniaVolevo riallacciarmi alle ultime relazioni per quanto riguarda l’affido. Secondome è molto importante sottolineare questa esperienza perché ho l’impressioneche questa realtà arriva poco, si consoce poco, nei servizi.Mi ricordo che l’anno scorso mi telefonò una signora di Udine che cercavaesperienze di affido eterofamiliare e io non sapevo cosa dire. Quindi,probabilmente, dovremmo, sia come servizi, sia come dipartimenti, allargare la reteper avere conoscenza di questa realtà. Come hanno fatto a Verona o a Collegno atrovare la famiglia; qual è la relazione che esiste; come può sorgere la rete? Quindic’è sicuramente un lavoro da fare per avere conoscenza delle famiglie che possonofare l’affido, che è una cosa sicuramente notevole.Molti sicuramente non sanno che esistono queste realtà e noi dobbiamo valorizzarle,farle conoscere.IRENE OLANDADipartimento salute mentale 5B, Collegno, TorinoIl nostro è stato un lavoro lunghissimo. Io non mi sono soffermata su questo,perché è una parte più tecnica e mi sembra che “Le parole ritrovate” cercasseroqualcosa di diverso e quindi non ho riportato tutto il percorso di formazione delservizio IESA. Noi, comunque, sono quattro anni e mezzo che lavoriamo affinchéquesto tipo di strumento - perché l’inserimento eterofamiliare è uno strumento -possa essere realizzato dai servizi dipartimentali. È un lavoro molto grande. A differenzadi Verona, noi, da tre anni, abbiamo una delibera dove è previsto il contrattoche spiegava prima Claudio Gentile, per cui la famiglia e l’ospite firmano questocontratto. Esiste una assicurazione che tutela sia la famiglia ospitante che l’ospiteper i danni civili che possono arrecare entrambi.Di fatto, esiste una documentazione, una storia, una testimonianza e che noi,come dipartimento, siamo pronti ad offrire ad ognuno di voi che vuole intraprendereun percorso di questo tipo.Il 26 ottobre, a Torino, nella realtà di Chieri, avremo un seminario di studiorivolto a tutti gli operatori e vi invitiamo a partecipare.Prossimamente ci sarà il 2° Convegno internazionale a Lucca. Lo scorso annonoi abbiamo fatto la prima esperienza e quest’anno abbiamo passato il testimone aLucca che porterà delle esperienze simili alle nostre.Stiamo lavorando per arrivare al numero di dieci inserimenti e speriamo diraggiungerlo in questo mese. Certo, le risorse delle famiglie sono difficili da trovaree, nel momento in cui si trovano, sono veramente una risorsa e - consentitemi disottolinearlo - un rinascere da entrambe le parti, e anche da parte nostra.27
GRAZIA CONTESSAUnità Operativa di Psichiatria, Cinisello Balsamo, MilanoSalve. Io sono Grazia e sono qui con Maddalena per raccontarvi un po’ quellache è l’esperienza dell’abitare a Cinisello Balsamo.Come accennava prima Elena, a Cinisello Balsamo si è fatto, si sta facendo esi cerca di continuare a fare il tentativo di risolvere il problema dell’abitare facendorimanere le persone nel proprio contesto naturale d’origine o riportandocele se eranoandate a vivere in strutture residenziali collocate altrove.Vorrei fare una piccola premessa. Cinisello è una città dell’hinterland milanese,il cosiddetto “paese dormitorio”, dove la gente esce la mattina per recarsi a lavoraree ritorna alla sera, dove le relazioni sono poche, e dove il concetto di accoglienza,di tolleranza, di relazione fra vicini, fra persone che abitano lo stesso condominio,esiste molto poco. Tant’è vero che, qualche anno fa, noi lavoravamo perriuscire a non mandare fuori, nelle comunità esterne, la gente. Milano, che ha unpo’ di soldi, risolveva il problema mandando fuori la gente. Si pagava purché nondessero fastidio e stessero lontani. Per carità, posti anche belli, ma dove la gentepoi non si ritrovava, non era naturalmente il suo ambiente.Abbiamo lavorato un anno per creare una comunità, che doveva esseredell’Azienda ospedaliera, in un condominio. Avevamo trovato la casa e si era stabilitoanche l’affitto. Il giorno del trasloco c’è stata una sollevazione dei condomini,per cui, dopo aver portato su i mobili, li abbiamo dovuti riportare giù, perché lagente non poteva entrare.Un giorno uno dei nostri utenti, che viveva in uno stato di degrado e di solitudine,ci ha fatto presente questo suo stato di disagio dicendo: “Ma se io avessiqualcuno con cui stare, sarei più contento”. Partendo proprio dal bisogno di compagnia,dal bisogno di casa, dal bisogno di restare nel proprio territorio espresso daidiretti interessati, abbiamo incominciato a cercare di far vivere le persone nel lorocontesto.Maddalena è qui per raccontare meglio di me il suo percorso. È partita anchelei da una situazione di “deportazione” in comunità. Aveva difficoltà a vivere infamiglia, ma è arrivata, dopo circa sette anni, ad avere una casa per conto suo.Non un posto letto, ma una casa.Maddalena vive da sola in questa casa, però non è sola, nel senso che intorno aalla sua casa ruotano le case degli altri, ruota la comunità, ruota tutto il discorsodell’auto aiuto, che vuol dire gruppo, che vuol dire “Casa dell’auto aiuto”, dove sifanno incontri, attività, ci si trova, si sta bene insieme.E tutto questo discorso è legato da una parola semplice: “relazione”, che uniscechi sta nelle case, noi operatori, le persone del volontariato e del privato socialeche, comunque, agiscono nella comunità.28
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