Termino leggendovi l’ultima parte dell’esperienza del nostro Armando.“Oggi sono trascorsi 18 mesi dal giorno dell’inserimento e soffro ancora a parlaredel mio passato. Penso al presente con i miei nuovi amici con cui chiacchierovolentieri. Penso ai clienti che frequentano il Circolo gestito dalla famiglia che miha accolto, alla verdura dell’orto e al carburatore del motorino che devo cambiare.Vedo allo specchio il mio sorriso che, da quando ho rimesso i denti, mi fa sembrareproprio un altro. Penso alla cena di sabato sera, dove rivedrò con piacere Giovannae penso a quale vestito indosserò la prossima settimana per andare a trovare i mieigenitori, ormai anziani con cui trascorrerò il fine settimana”.CLAUDIO GENTI<strong>LE</strong>Unità sanitaria locale 20, VeronaSono un assistente sociale ed opero a Verona presso il 2° Servizio Psichiatrico.Sono qui con una famiglia e un sacerdote che fa parte di una Fondazione delveronese impegnata in vari versanti del sociale e da qualche tempo sta cominciandoa collaborare con noi. Questo progetto di accoglienza familiare di cui vogliamoportare la nostra testimonianza è partito anche grazie a loro e ad altre famiglie che,di fatto, si impegnano nel quotidiano in questa esperienza.A differenza dell’esperienza di Collegno, che è un’esperienza ormai consolidata,la nostra esperienza di Verona è appena nata.Noi abbiamo deciso di “partire” sullo spunto dell’esperienza di Lucca, ormaidecennale, di Chieri, di Collegno e di altre regioni d’Italia, perché ci siamo resiconto di una cosa. Il Dipartimento di Salute mentale di Verona si compone di quattroservizi psichiatrici ed è un dipartimento che possiamo definire “ricco”, nel sensodi strutture, di servizi, in linea con quanto previsto dalla normativa sia nazionaleche regionale. Abbiamo le comunità terapeutiche, le comunità alloggio, i centridiurni e tutte le altre strutture che magari altre regioni non hanno o hanno soltantosulla carta. Ma allora perché pensare a qualcos’altro? La nostra esperienza quotidiana- mia di assistente sociale e di altri colleghi - ci ha fatto notare una cosa: piùstrutture si creano, più bisogno si induce, più queste strutture si riempiono. A volteci troviamo in difficoltà a trovare delle soluzioni residenziali. Io provenivo daun’esperienza fatta nella provincia di Verona, a Legnago, dove non c’era nessunastruttura e sembrava che non ce ne fosse neanche tanto bisogno. In realtà i bisognic’erano, ma non erano espressi.Comunque, a Verona ci siamo ritrovati con tante strutture, ma tutte piene, conuno scarso turn over e con quattro, cinque, a volte anche sei anni di permanenza, equando arrivava un problema nuovo e grosso, non si sapeva cosa fare.Un’esperienza personale mi ha portato a sperimentare l’accoglienza familiare.Noi preferiamo usare questo termine “accoglienza”, e non “affido”. Anche formalmente,a livello istituzionale, il nostro progetto parla di “accoglienza”. È un interventoche viene concordato, accettato dall’utente che diventa il vero protagonista,che decide se va bene quella famiglia o meno; decide insieme a noi quando ini-23
ziare, con quali modalità, con delle regole che vengono precisate nel contratto chelui firma. Io penso che, nell’ambito psichiatrico, un intervento del genere non èfrequente. In genere il paziente non sceglie la comunità terapeutica, non sceglie lapersona con cui condividere la stanza, non sceglie di ritornare a casa e quando. Invecein questa esperienza ci sembra si possa davvero sottolineare questo aspetto divero protagonismo da parte dell’utente. L’utente, naturalmente, deve accettare ilprogramma. È all’interno di un programma terapeutico globale che viene previstoquesto inserimento. Quindi rimangono le figure degli operatori del territorio: lopsichiatra, l’assistente sociale, l’équipe di riferimento, a cui si affianca un’altra é-quipe un po’ più specializzata per individuare le famiglie, selezionarle e farel’abbinamento. A grandi linee è questa l’accoglienza familiare. Naturalmente èprevista una quota di rimborso per la famiglia per le spese che sostengono.Tutte queste cose le abbiamo scritte in una delibera, che speriamo venga approvataal più presto. È da circa un anno e mezzo che stiamo trattando conl’amministrazione, in special modo con l’ufficio legale. A noi sembra che ci stiacreando tutta una serie di ostacoli, anche se ci rendiamo conto che effettivamente cisono problemi da risolvere: dall’assicurazione, perché la famiglia viene garantitaanche attraverso un’assicurazione per la responsabilità civile, alle modalità di rimborso,ai problemi fiscali...Nel frattempo ci siamo resi conto che, di fatto, a Verona - e penso in tante altreparti d’Italia - di queste esperienze di affido, di accoglienza, ce ne sono già. Nonformalizzate, non istituzionalizzate, non sancite con una delibera, ma esistono, cisono, basta cercarle.Noi solo a Verona ne abbiamo “trovate”, quasi per caso, cinque di queste realtà.Ora vorremmo regolamentarle e sopratutto valorizzarle con questo progetto.Uno dei casi - o meglio, delle persone - che abbiamo trovato, l’abbiamo trovata acasa di Claudio e Aurora. Non mi dilungo oltre e lascio proprio la parola a loro,perché al di là di quello che possiamo dire noi operatori, penso che sia molto importantela loro testimonianza, proprio perché loro fanno esperienza quotidiana dicosa vuol dire questa accoglienza, nella semplicità, rispettando le regole di un viverecomune, di un vivere in famiglia. Perché vivere in famiglia non vuol dire farequello che si vuole, ci sono regole che vanno rispettare, ma soprattutto - penso –c’è l’amore, la disponibilità di accogliere una persona che è in difficoltà, ma che,comunque, è lì e condivide con loro questa esperienza di vita familiare.Quindi io li ringrazio per quello che hanno fatto, per quello che stanno facendoper l’impegno che continueranno e lascio a loro la parola per questa testimonianza.24
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