A differenza del 1904, quando è stata approvata la Legge Giolitti sull’aperturadei manicomi, andiamo ancora più indietro. Perché tutte queste cose le possono faregli acchiappa persone che hanno il disagio mentale. Perché, se i privati farannobusinnes intorno a questo, allora andranno in giro per trovare chiunque abbia interessedi pigliarlo e di portarlo da me. Poi arriva lo Stato che mi paga una bella retta.E tutti quegli altri interventi, quella moltitudine di interventi che volevamo fare,quella responsabilizzazione della comunità, quel sostegno alle famiglie vero ereale che vogliamo fare, dove vanno a finire?Ecco perché bisogna avere questa dimensione, molto concreta, capire quelloche avviene sotto i nostri piedi, di fronte a noi, nei nostri territori, ma avere anchequesto sguardo più generale, più globale, perché molti vizi hanno la stessa radice.Il vizio della guerra ha la stessa radice del vizio di buttare le persone dentro unpiccolo, magari più bello, più moderno, manicomio rispetto a quelli che abbiamoconosciuto insieme, rispetto a quelli che ho contribuito a denunciare in questi annidi lavoro. Magari saranno con la cameretta, con il lettino personalizzato, fino a due,tre anni fa queste cose non c’erano. Magari ci metteranno la TV in camera, masempre un luogo custodiale, sempre un luogo separato da tutto, sempre un luogoche costringerà ad un’eterna assistenza, sempre un luogo di eterno mantenimento,dove gli affetti non entrano, la relazione non entra, il lavoro non entra mai, un luogoeternamente soporifero o violento, a seconda poi con quale privato vai a finire, aseconda del destino, perché se sei povero o sei persona che vive in un dato territorio,il destino, come quelli che sono nati in una parte del mondo diverso dal nostro,il destino gli ha assegnato di essere fregati, anche da noi.Ritorniamo quindi a questa visione che è una visione sbagliata, non la visionedella libertà vera, della scelta, delle opportunità, delle responsabilità, ma chi ci capitaè fregato, si arrangia e se ha soldi va avanti e se non ha soldi è fregato. E poi,anche se hai i soldi, sempre mantenimento, sempre custodia, neanche lì riesci a dareuna risposta vera, profonda, radicata a quel bisogno che meriti.Ecco perché noi, alla cultura dell’abbandono, dobbiamo far corrispondere lacultura dell’accoglienza. Non si deve abbandonare niente. Si devono solo abbandonarele ingiustizie, solo quelle bisogna abbandonare. Ecco perché, alla culturadell’abbandono, spesso corrisponde la cultura della pericolosità. Prima ti abbandono,poi tu diventi pericoloso. Prima abbandono il sud del mondo, in senso astratto,poi il sud del mondo diventa pericoloso, quindi, a quel punto, lo debbo punire.E così a casa: tu abbandoni il ragazzo, poi quello la mattina si alza, dà unoschiaffo, alla mamma o al papà, tu non sai come fare e quindi poi alla fine diventipericoloso per i tuoi genitori, per i tuoi familiari. L’abbandono porta alla pericolositàe la pericolosità porta alla custodia e la custodia porta alla istituzionalizzazione,cioè, ti piglio e ti porto in un posto e ti separo. Ti separo dal tuo mondo, ti separodai tuoi odori, da quella cultura, da quelle luci, da quel panorama, da quel contestoe lo scelgo io per te. Ti separo non perché io scelgo di tagliare con quei colori,con quegli odori, con quella cosa, ma io scelgo per te. Mentre noi all’abbandonodobbiamo far corrispondere l’accoglienza; alla pericolosità, la condivisione; allacustodia, le strutture aperte; alla istituzionalizzazione i servizi aperti.In conclusione inviterei a riflettere su tre questioni che stanno alla radice diquesto modo nuovo di intervenire, come dicevo prima, il modo dell’autoprogetto.107
Non, quindi, il modo improvvisato, spontaneistico dello stare insieme. Ma neancheil modo violento del fare per te. Nel mondo dell’autoprogetto, per progettare ancheinterventi delicati, poi mirati, in grado di saper far vivere bene la propria realtà eper valorizzare, tirar fuori tutto quello che di positivo c’è in ogni persona, in ognicontesto, in ogni cultura, noi abbiamo bisogno di riportare al centro la giustizia.Oggi sono in arrivo gli affaristi, pensano che dal disagio mentale che è un bisognodi questo secolo, si può fare businnes, calano e si fanno fare quelle leggi.Ci vuole giustizia in tutte le cose. La giustizia è come il lievito, come il sale:se c’è troppo sale poi fa male, ma se non c’è un po’ di sale, quella parte è insipida.E così è il lievito. Ci vuole più giustizia. Dobbiamo, ognuno di noi, tirar fuori unpo’ più di attenzione e di cura per la giustizia. Non freghiamocene, quando ci sonodelle ingiustizie, perché quando ce ne freghiamo poi quell’ingiustizia si allarga epoi arriva anche a te, alla tua porta, bussa, entra e ti mena. Dobbiamo stare moltopiù attenti alla giustizia, coltivarla, formarci per la giustizia, organizzarla. La giustiziadeve essere al centro della nostra vita in questo particolare momento di passaggiodi millennio, di secolo, dentro tutte queste condizioni difficili, complesse.La giustizia ci aiuta a non farci vincere dalla nebbia, non farci battere dalla nebbia.Un po’ più di amore per le diversità. So bene che non è facile amare le diversità.È più facile amare le cose che conosciamo da sempre, che abbiamo visto dasempre. Amare le diversità è molto più complesso, richiede molta, molta più fatica,però dobbiamo amare un po’ di più le diversità. Se amiamo un po’ più le diversitàallora il quartiere, il vicinato, la comunità, la città, la regione, lo stato, il contestointernazionale si predispone a fare itinerari più ricchi di senso, ad accogliere maggiormentela giustizia, a dare più forza alla giustizia e meno forza alla violenza, aquella violenza che coviamo dentro ognuno di noi, che spesso scarichiamo sui nostrifamiliari, nel lavoro, nel nostro contesto territoriale, che spesso scarichiamo anchecontro l’ambiente. Dobbiamo avere un po’ più di amore nei confronti della diversità.un po’ più di amore, in modo tale da capire che nella diversità ci possonoessere delle ricchezze, ci possono essere anche delle opportunità per tutti. Dobbiamocurare molto questo amore per le diversità. Anche qui l’amore per le diversitànon nasce spontaneamente, anche questo è da curare.L’altra cosa che torno a sottolineare è il tema della riforma della politica. Soche questo è un tema difficile perché la politica è nella polvere, spesso non meritarispetto. La politica, anche nel passato recente quando, ad esempio, la mia coalizionestava al governo, di errori ne ha fatti, ritardi, anche lì ingiustizie se ne sonofatte e non da poco. Però è necessario che tutti scopriamo che possiamo anche fregarcenedella politica, ma che poi la politica arriva e interviene. E se la politica èpriva di partecipazione, produce guasti.C’è bisogno nella politica, sì di decisione, che voi sapete quant’è importante ladecisione, tante volte di fronte ad un assessore che non decide sulle politiche sociali,no non decido io, decide l’altro; no non decido io, decide la mia corrente; no nondecide la mia corrente, decide il mio partito; no non decide il comune, decide laprovincia; no, non decide la provincia, decide la regione e così via. Ci vuole unabuona sana decisione. E un po’ di cose buone si sono fatte da questo punto di vista.Ma se non c’è più partecipazione, la decisione diventa arroganza, la decisione diventaarbitrio. Ci vuole più partecipazione. La politica fatta solo da pochi è sbattuta108
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