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LE PAROLE RITROVATE

Convegno nazionale di Trento 2001 - Le Parole Ritrovate

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offre”. E il suo “offrirsi” non è “finalizzato all’uscire da sé”, bensì a “fare addentrare”in sé ciò che vaga fuori. È insomma una interiorità aperta.Il Cuore dà spazio, accoglie in sé il tempo e unisce il suo “lavoro” a quelloumile e disperso delle altre viscere, lavoro costante di un’opera consuetudinariaeppure formidabile, in una sincronia dettata dal ritmo e dal tempo, e in una unitàche non solo rispetta le differenze, ma di esse ha bisogno.E arriviamo qui, alla terza metafora. Dopo quella dei Chiarori del Bosco” e del“Cuore” e che racchiude e circonda queste due, è la metafora, appunto, del “Viandante”.Chi è il Viandante?Il Viandante è colui che “è sempre aperto” all’esperienza, a ricercareun’apertura possibile, ad esplorare un sentiero dove non sembrava esserci passaggioalcuno. A tornare sui propri passi per uscire da un vicolo cieco e cambiaresguardo, per poter vedere la corrente d’acqua che scorre, magari sotto terra, nascostada arbusti e foglie.Il Viandante è obbligato per sopravvivere ad accogliere la diversità, “a rimanere”in quel luogo di frontiera in cui si incrociano diverse culture, a mediare continuamentetra le sue idee-costruzioni, non ha un se stesso rigido, ma aperto allapopolazione sempre nuova che incontra. I suoi “desideri” sono “misurati”: una sera,un’alba, un sentiero, non ha proprietà da accumulare, mura o confini da difendere;e perciò è autentico senza maschere da indossare.Il Viandante è insomma la metafora di una disponibilità ad esporsi all’incontrocon l’altro comunque, quindi al riconoscimento di tutte le diversità, di tutte le differenze.Ma per fare questo, per arrivare a questo atteggiamento, quello del Viandante,ci vuole coraggio perché “nella nuova società dell’indifferenza”, cresce e si radicala paura per l’altro, per lo straniero, per il diverso.Sul terreno dell’indifferenza ci persuadiamo poco a poco che gli altri rappresentinouna minaccia e viviamo guardinghi e vigili in una specie di “stato d’animod’assedio”, prevenuti ad ogni incontro umano, omologati in deserti di noncomunicazione,seppur mascherati spesso da frasari convenzionali ed impersonali.In questa cultura di disidentità deleghiamo “la nostra vita ai tecnici”, chiedendoloro che ci spieghino, ci dicano, ci chiariscano, ci rassicurino.Il problema non è la mancanza di conoscenza, ma un timore che paralizza, chenon si lascia penetrare dalla vita, che non la fa uscire dalle nostre piccole prigionidi sicurezze (delegando agli altri ogni responsabilità e le sue conseguenze): quelleche Giovanni Moretti, nel suo libro “Un clown sul divano”, ha chiamato “le formemorte della vita”.L’invito e l’augurio è di cercare nei nostri “Chiarori del Bosco”, nel nostro“Cuore”, nel diventare “Viandante”, quali metafore vive e attive del nostro animo,il coraggio della solidarietà, perché nella ormai mia abbastanza lunga esperienza dipsichiatra ho potuto constatare come la “pena” che deriva dal sentirsi “non amati,rifiutati, abbandonati, sia un vero e proprio cancro psicologico”.E concludo sottolineando che l’attenzione e la disponibilità per chi soffre didisturbi psichici non è un semplice atto di pietà, un atteggiamento pietistico, mauna necessità vitale per tutti noi, per riconoscere e ritrovare la nostra umanità.122

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