Vi dico subito che io non sono molto abituata a parlare in pubblico ed è unacosa che mi crea delle difficoltà. Eppure - siccome le difficoltà vanno affrontate - ilmio Servizio continua a mandarmi a fare queste relazioni.Per meglio comprendere il percorso che ci ha condotti a quella che è per noiun’attività cardine - mi riferisco al lavoro con le famiglie e, soprattutto con le famigliead “alto carico” - ritengo fondamentale accennare ad una breve storia delnostro Servizio.I primi dieci anni della nostra operatività sono stati caratterizzati da molti a-spetti che cercherò di riassumervi.La reale costruzione di un’équipe multidisciplinare attraverso la circolazione di saperie la condivisione delle responsabilità.L’accessibilità, con una politica di libero accesso ed una politica dei tempi di aperturaportata a dodici ore al giorno.La non selezione/pertinenza della domanda con la tendenza a cogestire anche problematichedi confine, mettendo in gioco collaborazioni con altre agenzie sanitariee sociali.La precocità dell’intervento con l’assenza di liste di attesa.L’atteggiamento progettuale e non di attesa ambulatoriale, con la prevenzione delricovero e dell’istituzionalizzazione, la migliore gestione sanitaria possibile dellacrisi a domicilio, in day-hospital, in collaborazione con il locale Ospedale Civile.Nonostante tutto questo non riuscivamo però a cambiare il destino delle persone,perché non riuscivamo a cambiare né il tipo di domanda - che rimanevaall’interno di un’ottica sanitaria - né il tipo di risposta che, seppur rappresentatodalle migliori prestazioni possibili, esitava comunque nell’accettazione della cronicitàe della incurabilità, con un ritorno, molte volte disastroso, sia sugli operatori,rispetto alle paure di una presa in carico che andava ad aumentare all’infinito, chesulle famiglie.Ricordo, ad esempio, che nelle riunioni del Servizio e nelle discussioni sui casi,spesso si tendeva a colpevolizzare la famiglia sulla base di considerazioni e analisi,allora diffuse nella cultura degli operatori, di critica all’istituzione familiare.Questo atteggiamento produceva, forse, solo l’approfondimento degli aspetti conoscitiviche riguardavano il conflitto tra il paziente e la sua famiglia. Via via ci siamoperò resi conto che non era possibile scindere il conflitto da altri aspetti dellavita quotidiana: mi riferisco agli aspetti affettivi, alle risorse organizzative, aglispazi condivisi, al tempo vissuto, agli interessi...In questo quadro abbiamo cominciato, quindi, a interrogarci su come far si cheun Servizio che non sia solo ‘fornitore di prestazioni’ bensì abbia caratteristiche di‘relazioni che producono relazioni’, in cui si operi con progetti di promozione dellasalute mentale, in cui l’azione è l’interazione ed i cui verbi siano ‘progettare’ e ‘fareinsieme’ e le materie ‘abitare, lavorare, vivere...’Quindi è cominciata a maturare una reale apertura del Servizio che ha portatoda un lato alla costituzione di cooperative sociali - noi ne abbiamo due - e dall’altroad una maggiore attenzione alle attività ed alle forme di partecipazione degli utentie delle famiglie con cogestione e copartecipazione a momenti di vita del Servizio, apartire da feste, gite, soggiorni fino all’autorappresentanza.87
Questo primo cambiamento di rapporti ci ha permesso di rivedere la posizionespesso critica nei confronti della famiglia (fantasmi di genitori cattivi, schizofrenogeni,generatori di malattia) e di rapportarci con essa con modalità che non fosseronecessariamente di difesa o frontali, ma piuttosto di maggiore responsabilità, apertura,capacità di ‘stare con’.Così, della famiglia, abbiamo potuto cogliere gli aspetti positivi, valorizzarla econsiderarla, sicuramente una grande risorsa da coinvolgere, perché diventasse unvero e proprio ‘fattore terapeutico’ per il congiunto malato ed a cui restituire ‘spessore’e ‘dignità’. In quest’ottica alcuni operatori cominciarono a lavorare con i familiariin modo da coinvolgerli più direttamente nella cura e nel tentativo di crearedelle sinergie per migliorare il risultato dei progetti di intervento.I primi incontri strutturati con le famiglie risalgono al 1989/90, conl’organizzazione di riunioni quindicinali con famiglie di pazienti affetti da gravidisturbi. Gli incontri, che inizialmente videro il coinvolgimento degli operatori(psichiatra, psicologo, assistente sociale, infermiere), divennero via via quasi unesclusivo carico dello psichiatra. Penso che in ciò abbia influito grandemente il fattoche il medico rappresentasse ancora, per le famiglie, l’unico depositario del ‘saperescientifico’ e che il resto degli operatori non fosse sufficientemente pronto permodificare questo quadro (ansia di non essere all’altezza, preoccupazione di non‘sapere rispondere’, frustrazione nel viversi periferico...).Per quanto concerne gli obiettivi, questi incontri, pur realizzando solo la funzionedi scarico dell’emotività e delle tensioni, ebbero però il merito di condurrealla costituzione dell’Associazione dei familiari. La nascita della ATSM (Associazioneper la tutela della salute mentale) spostò l’interesse delle famiglie più sul livelloassociativo, cosicché gli incontri persero la connotazione iniziale e, naturalmente,si interruppero.Il solo livello associativo non riusciva però a rispondere in modo soddisfacentea tutte le necessità dei familiari ed anche per il Servizio rimaneva, comunque,l’esigenza di accogliere concretamente le istanze soprattutto dei familiari con il caricodi una persona con gravi disturbi e l’esigenza di rispondere al bisogno di esseresollevati da gravosi oneri e responsabilità, di uscire dall’isolamento e dal desertodi rapporti che la malattia aveva creato intorno a loro.Il riferimento agli studi sull’emotività espressa ed ai modelli psicoeducativi diorigine anglosassone non era sufficiente a chiarire il come fare. Come poterli aiutaread assumersi in modo adeguato quel compito di diventare ‘fattori terapeutici’senza che questo fosse solo un restituire ai familiari il loro carico, ma che inveceavesse lo scopo di ottenere un miglioramento della malattia, della sua gestione e,quindi, della qualità di vita dell’intera famiglia, del suo destino.Il diffondersi di un’immagine diversa dei familiari, finalmente da rispettare,come persone partecipi della sofferenza dei loro congiunti, ma anche al pari di questi,risorse preziose da coinvolgere come agenti di cambiamento e non da ultimo,portatori di un diritto al benessere che ha la stessa legittimità di quello degli utentie di tutti i cittadini, riaccese il dibattito all’interno dell’équipe e fu così stimolanteche un gruppo di operatori (me compresa), fortemente motivati, partì per Triesteper un’esperienza formativa. Volevamo ‘vedere, ‘capire’ come qualcun altro riuscivaa rispondere agli stessi interrogativi realizzando forme nuove di coinvolgi-88
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Dal coordinamento è nato anche un
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comunque sempre una dimensione vers
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fino alla fine del nono giorno, qua
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Il supporto si esprime attraverso l
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EVELINA MONTONEIl Giallosole, Chiva
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zienti si sono incontrati con il gr
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mi, anzi, c’è bisogno di essere
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BRUNA CIMENTIComitato Italiano per
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Maurizio, un cittadino, nel senso c