Al momento delle dimissioni si fa il percorso inverso. L’ospite, generalmenteperplesso o impaurito, viene aiutato ad entrare in una nuova dimensione di vita autonoma,anche se supportata a distanza dalla Comunità e dai Servizi. Queste dimissioni“morbide” possono durare alcuni mesi.Questa è la nostra esperienza, io sono un’operatrice che lavora nella casa diVia Brandesia. Mi ricollego, chiudendo questo mio intervento, a quello che dicevaprima il sacerdote di Verona sul nostro dare e sul nostro ricevere. Penso che noi riceviamoveramente tanto dalle persone con le quali viviamo 24 ore su 24. Grazie!DANIELA PANIGONEAssociazione A.l.s.p., NovaraBuona sera. Vorrei fare un breve intervento sull’argomento del Convegno diquest’anno, riallacciandomi anche un po’ a un discorso che avevamo fatto l’annoscorso. Io ero presente ed era la prima volta che partecipavo alle “Parole ritrovate”.Sono Daniela, una psicologa di Novara, ed avevo voluto portare una mia esperienzache avevo definita più umana che professionale con una signora che è istituzionalizzatadal ‘68 presso l’ex Ospedale Psichiatrico di Novara che oggi non c’èpiù e che è stato sostituito da due comunità terapeutiche di recupero.Nel ‘79 questa signora è stata portata in una di queste due comunità. È una signoramolto giovane - adesso ha 48 anni - ed io l’ho conosciuta mentre facevo ilmio anno di tirocinio, nel ‘99, e mi sono accorta che lei abitava la comunità, manon nel senso dell’abitare come lo vogliamo intendere qui adesso. Il suo abitare erain realtà una ‘tappezzeria’ - una definizione che avevo usato anche l’anno scorso –era stare in un luogo senza, purtroppo, abitarlo. Tra l’altro, essendo una persona i-stituzionalizzata da tantissimi anni, era molto chiusa nel suo mondo, molto regredita.Quando ci siamo incontrate ci siamo subito piaciute, nel senso che io ho coltocomunque la sua voglia di vivere, la sua estrema vitalità, nonostante tutti questi anni.Vorrei, quindi, sottolineare come sia giusto che nascano delle possibilità al difuori delle comunità, quindi anche dei gruppi appartamento o delle soluzioni di accoglienzao di affido, o come volete chiamarle, nelle famiglie, perché mi sembranodelle proposte molto buone anche per persone istituzionalizzate da tanti anni.Lei era da vent’anni che non metteva piede fuori dalla struttura, non riuscivaneanche ad uscire dalla sua camera e, nel febbraio 2000 sono riuscita a portarlafuori dal cancello. Ovviamente è un percorso che abbiamo fatto assieme, io e lei,nel senso che, forse, mi ha aiutato più lei in questo percorso e piano piano ha raggiuntograndissimi traguardi, l’ultimo dei quali è stato in agosto. Io ero in vacanzae lei è andata al supermercato insieme ad altri operatori per comprare gorgonzola esalame. E questo è stato veramente un grandissimo passo avanti.Volevo appunto sottolineare come sia importante fare anche un discorso di residenzialitàalternativa alla comunità anche con persone che vengono definite “croniche”e con le quali, invece, si possono fare veramente dei grandi passi avanti. E43
mi riallaccio proprio al discorso dell’affidamento in una nuova famiglia, che misembra l’esperienza di Collegno, di quel signore che era da tanti anni in ospedale eche invece ha ritrovato il suo ambiente di vita che gli ha permesso di migliorare lasua vita e di stare meglio. Volevo solo dire questo. Grazie.E<strong>LE</strong>NA VAN WESTERHAUTUnità Operativa di Psichiatria, Cinisello Balsamo, MilanoAscoltando i vari interventi ho fatto qualche riflessione. Mi pare che si sottolineasempre l’importanza del rapporto, della relazione. Soprattutto in alcune testimonianze,sia di persone con problemi di salute mentale che di persone con un ruolodi operatori, è emerso l’aspetto che noi chiamiamo di amicalità. Il rapporto diamicalità è un rapporto di apertura, che va al di là dei confini della scrivania e dellabarriera che c’è solitamente fra l’operatore o il volontario e la persona che ha problemi.Questo aspetto, secondo molti di noi, è un po’ l’aspetto chiave che determinail cambiamento e che, in parole molto semplici, è quello che di cui ciascuno di noiha bisogno: relazioni di amicalità, di solidarietà, di assolto. Qualcuno mi ascolta,ascolta finalmente il mio sapere, quello che io so, anche se ho problemi psichiatrici.Questa modalità di relazione, secondo noi, è quella che poi porta a grossi risultatidi cambiamento ed è emersa, oggi, in molte testimonianze e in molti discorsi fatti.Il cambiamento importante, sostanziale, non sta soltanto nella struttura, nellemura, ma nel rapporto all’interno di questa struttura, di queste mura. Se parliamo,invece, di territorio e di case di proprietà dell’utente, quello che deve cambiare è ilrapporto che abbiamo noi operatori e i volontari, che io preferisco chiamare cittadiniattivi, perché la parola volontariato si riferisce sempre a qualcuno che lavora‘per’ e non ‘con’.Questo cambiamento determina anche il cambiamento della “patologia”. Personalmentene sono certa, anche per l’esperienza di Cinisello, dove io lavoro e acui hanno accennato prima Maddalena e Grazia. Devo dire che per le persone chevivono in questi appartamenti, che sono di loro proprietà, e dove vivono da soli oinsieme ad altri, c’è stato un abbassamento di ricoveri in SPDC del 70% nel giro didue anni e mezzo, tre anni. E non è poco!Questo significa che la qualità della vita cambia attraverso il rapporto, attraversola relazione, attraverso quelle cose semplici, informali di cui molto spesso cidimentichiamo. Noi operatori andiamo a ricercare chissà quali grandi cose, cispremiamo per fare diagnosi, per capire quale intervento fare e poi, magari, nondiamo valore e considerazione al fatto che questa persona, comunque, ha un amico,ha qualcuno che le vuole bene. E queste sono le piccole grandi cose che sono importantianche per noi cosiddetti ‘normali’.44
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