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LE PAROLE RITROVATE

Convegno nazionale di Trento 2001 - Le Parole Ritrovate

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Già nel manifesto che illustra il programma delle escursioni del progetto “IChiarori del Bosco” potete leggere questa frase di Geoffry Chancher che ci introducenel tema: “…E gli uomini ricercano pellegrinaggi e i pellegrini terre sconosciute”.Qualcuno ci ha anche chiesto come abbiamo trovato questo titolo così suggestivo:“I Chiarori del Bosco” appunto. In effetti l’esperienza di escursioni nel nostroAppennino era di fatto già attuata da 4 anni, per così dire “senza titolo”, tra ilnostro Servizio di Salute Mentale con il gruppo di Guardie Ecologiche e la collaborazionedel Parco nazionale del Gigante dell’Appennino reggiano. Si è arrivati poiall’esigenza di denominarla per poter chiedere, attraverso una relazionepresentazione,un aiuto finanziario. In quel periodo stavo leggendo un libro di MariaZambrano, una filosofa spagnola tra le più originali della riflessione contemporanea;il libro è “Verso un sapere dell’anima” e lo consiglio a tutti voi, soprattuttoagli studenti.Sul retro di copertina del libro, accanto ad alcuni cenni sulla vita di questa autrice,ci sono gli altri libri pubblicati e tra questi uno dal titolo “I Chiarori del Bosco”.Questo titolo fa riferimento a un concetto del filosofo tedesco Heidegger,concetto racchiuso nel termine Licthung che può essere tradotto in “radura luminosa”,in “apertura del bosco”. Per Heidegger la radura luminosa è quel luogo dovenoi abbandoniamo la nostra coscienza vigile, difensiva, per uno sguardo diverso,aperto, che rinvia ad un tempo interno contemplativo “capace” di “circondare condolcezza le cose” (al di là della tirannia del tempo esterno, quello, per intenderci,delle lancette dell’orologio).Da lì il nome di questo progetto. Il “chiarore del bosco” è dunque una metaforache sta a significare la nostra apertura, la nostra disponibilità ad aprirci all’altro,a “manifestarci a lui”, al di là della difensività della nostra coscienza vigile. È insomma“una vicinanza” che non ha nulla a che fare con la semplice nozione di vicinanza,come quando diciamo “questo oggetto è vicino a quello”.La nostra vicinanza è una “vicinanza affettiva”, esattamente all’opposto dellemoltitudini di vicinanze che ci sono, ad esempio, in certi odierni centri commercialie che sono vicinanze solo geometriche.Questa vicinanza affettiva richiama ciò che Maria Zambrano descrive come“visione attraverso il Cuore” contrapponendola alla “visione intellettuale” descrittadall’autrice come “repertorio di forme” in cui la coscienza è prigioniera.Il Cuore, e questa è la seconda metafora che vi propongo, invece ha una “lucepropria” che consente di aprire un varco laddove sembrava non esserci passaggioalcuno, di scoprire i fori della realtà quando si mostra inaccessibile, di incontrareanche la soluzione di un conflitto interiore quando si è caduti in un labirinto inestricabilea causa dell’aggrovigliarsi delle circostanze.La “luce del Cuore”, a differenza della “luce intellettuale” offre conforto, sospingea quello slancio dell’animo che ha in sé il sigillo della generosità.Nel sentire intellettuale invece sappiamo di non poterci aspettare questi slancivitali, si “sente” certo, ma in questo sentire c’è ermetismo, “si sente per sé”, ed è unsentire che non si apre mai né si irradia.Il Cuore, scrive Maria Zambrano, è il viscere più nobile perché porta con sél’immagine di uno spazio, di un dentro oscuro, segreto e misterioso “che si apre, si121

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