diventare giornale ed essere un manifesto empowerment potessero essere divulgate.Sarebbe auspicabile leggere gli scritti degli utenti che raccontano questo processo,poter vedere fra le pagine emergere interessi non necessariamente legati alla vitadei centri, quanto alla vita stessa. Poco importa che siano 3 pagine o 20, che sia unsettimanale o un trimestrale, non è importante che sia carta patinata o fotocopie, ciòche conta è che il contenuto abbia in sé l’anima stessa del processo di empowerment.Gli utenti che si sono riappropriati del diritto di cittadinanza devono testimoniarloa favore di chi non ha ancora raggiunto queste mete, e i giornali devono poteressere utili a questo. L’informazione crea sviluppo, crescita, chi ignora non hapotere contrattuale.L’informazione è riabilitativa di per sé. I nostri giornali viaggiano ormai pertutta l’Italia, sono usciti dai singoli territori e sono in grado di informare e confrontarsi,non solo fra loro, ma con chiunque abbia voglia di sapere cosa accadenell’universo della salute mentale, raccontato attraverso le parole dei diretti interessati.Questo dà un grande potere ai nostri giornali, ma anche una responsabilità.Cito Maschili Migliorini dal testo di sociologia della comunicazione dove eglicosì definisce i giornali: “[…] sono, intanto, gli strumenti necessari e più adatti […]perché, potendosi essi stessi proporre, allo stesso momento, come veicolo culturale epopolare insieme, […] riescono a guadagnare rapidamente le case della gente, dovei modelli di riferimento collettivi si concretizzano attraverso il rito individuale, diventandoatteggiamenti, se non comportamenti e, in ogni caso, costume.”I giornali degli utenti possono, senza falsi pudori, assolvere alla funzione realedi giornali e diventare strumento di diffusione sia di informazione, che di modelliculturali avanzati, quali quelli dei gruppi di self – help. Non credo che questo siaun orizzonte troppo ambizioso, credo che vi siano la volontà e la maturità necessariea che gradualmente si abbandoni il modello del diario di bordo dei singoli centri.Il senso di questi nostri lavori. Il senso sta nella necessità di creare informazione\formazione,nuove forme di sviluppo culturale e sociale. È una spinta cheviene con forza da parte di utenti ed operatori per sviluppare ed approfondire conoscenzesulle varie possibilità di appropriazione e riappropriazione di spazi. Spazi dicittadinanza per operatori di base, quanto per gli utenti sazi di cultura, spazi economici,spazi sociali, politici. Nessuno di questi spazi è dato per scontato né possiamosapere se sarà per sempre. L’ombra della deprivazione delle conquiste piùrecenti è sempre presente, per cui ogni centimetro guadagnato, ogni diritto ritrovato,ogni salario conquistato, ogni rigo scritto, ogni opinione personale espressa, devonoessere mantenuti con la forza della cultura.L’unico strumento di pressione sociale che gli operatori di base e gli utentipossono esercitare per mantenere il presente del diritto di cittadinanza e delle buonepratiche, e conquistare il futuro, sta nella possibilità di incidere nella cultura, facendocultura. Questo a più livelli, agendo nel proprio territorio e parallelamentemantenendo la rete con gli altri soggetti attivi. I giornali possono (o devono?) esseresoggetti di scambi, cultura, forme di civiltà, che riproducono e a loro volta tentanodi produrre cambiamenti significativi. Cambiamenti mutevoli e plastici ai mutamentidei bisogni della nuova utenza e della società, rispettosi delle pratiche di53
empowerment e specchi di libera cittadinanza, mai succubi di modelli sociali chefagocitano le esistenze più fragili, ed appiattiscono le diversità, massificando i singoliin robottini eterodiretti. Non vogliamo essere uguali, belli alla moda, consenzienti,bravi produttori e soprattutto ottimi consumatori. Vogliamo essere noi stessicon il mare di contraddizioni che abbiamo, usiamo i giornali per dirlo.Dice spesso un neo redattore di Ostut: “la città è impazzita”, direi che il mondoè impazzito. Solo nelle buone pratiche di integrazione, rispetto alle diversità,capacità di mediazione, riconoscimento di cittadinanza, applicate nei buoni servizidi salute mentale e specialmente nei gruppi di self-help può esistere un futuro menofolle di quello a cui i grandi normodotati del mondo ci stanno destinando. È tempoche ai folli sia dato il compito di testimoniare la possibilità di uno scenario di civiltà,di integrazione e di lucidità che manca a questi giorni incerti, anche attraverso lascrittura.MARTA ZACCARDI“Zabaione di pensieri”, RomaSulla parola “coordinamento” ci sarebbero molte cose da dire, ma credo che sene parlerà più tardi, nel dibattito. Sicuramente abbiamo bisogno di una segreteria,non so se abbiamo bisogno di un coordinamento, che è una cosa diversa. Per questomi sono tirata indietro quando Romano mi ha chiesto di intervenire sul “coordinamento”.Presenterò invece un’iniziativa, alla quale ho fatto cenno già l’anno scorso ealla quale hanno aderito in molti. Si tratta di un archivio delle nostre riviste. Primadi coordinarci, secondo me, ci dobbiamo censire, forse anche a questo possono essereutili le schede preparate a Martina Franca.Esiste un “Archivio delle Riviste degli Utenti dei Servizi di Salute Mentale”.Romano mi ha fatto notare che nel nome c’erano troppi “di”, ma a me sembra importanteevidenziarli tutti, perché si tratta proprio di riviste degli utenti dei servizi.Nei servizi di salute mentale esistono infatti anche altre riviste realizzate solo daoperatori (e esistono anche pseudoriviste degli utenti, fatte in realtà da operatori,ma quelle le collezioniamo lo stesso).All’inizio i nostri periodici cominciarono ad essere raccolti dal Dipartimentodi Salute Mentale della ASL Roma A: molti di voi ci hanno inviato copie del propriogiornalino, ed alcuni sono riusciti anche a fare un lavoro di ricostruzione storicadella propria rivista a partire dal numero zero. Abbiamo cercato di raccogliereanche i periodici curati dai degenti dei vecchi ospedali psichiatrici, perché la storiadelle nostre riviste non nasce dai nostri numeri zero, ma ha un’origine più antica.L’anno scorso, se vi ricordate, abbiamo parlato de “Il picchio”, che venivastampato nel manicomio di Gorizia, e abbiamo visto anche come le riviste dei variospedali psichiatrici fossero in contatto le une con le altre e come i degenti si recasseroin visita da un manicomio all’altro. In seguito invece c’è stato un lungo perio-54
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mi, anzi, c’è bisogno di essere
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BRUNA CIMENTIComitato Italiano per
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