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Piero Vassallo “La restaurazione della filosofia ... - Maconi, Antonio

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L’opera dell’italianissimo Vico era sprofondata nell’oblio dei cattolici italiani. Non<br />

mancavano neppure coloro che, seguendo le sbrigative indicazioni del domenicano<br />

Ambrogio Finetti, immaginavano un Vico ateo e materialista, sottraendo alla cultura<br />

cattolica un’arma polemica indispensabile ai fini <strong>della</strong> confutazione del moderno, quale è la<br />

“Scienza Nuova” 181 .<br />

Nello schema elaborato da Spaventa l’identità moderna del pensiero italiano si sarebbe<br />

rivelata una prima volta nel Rinascimento (con Campanella e Bruno, considerati quali<br />

precursori di Cartesio e Spinoza), una seconda volta nel Settecento (con il Vico avventizio e<br />

fittizio dei neo hegeliani, apprezzato soltanto quale presunto anticipatore del criticismo<br />

kantiano), ultimamente nell’Ottocento (con Galluppi, Rosmini, Gioberti, autori che<br />

corrisponderebbero a Fichte, Schelling e Hegel).<br />

Una volta accettata questa interpretazione unilaterale e arbitraria, l’eredità di Agostino,<br />

Tommaso, Bonaventura, Caietano, Bellarmino dileguava, senza lasciare traccia nella storia<br />

italiana. Di conseguenza alla <strong>filosofia</strong> italiana non si poteva dare un volto diverso da quello<br />

<strong>della</strong> più desolata provincia filosofica <strong>della</strong> Germania luterana. E di una provincia in guerra<br />

senza quartiere contro la ragione cattolica, detta, appunto, “prostituta di satana”.<br />

Di qui quella diffidenza <strong>della</strong> cultura cattolica nei confronti di Vico, chiusura che ha<br />

promosso lo storicismo, strutturalmente antivichiano, di Maritain, deviando e soffocando lo<br />

sviluppo <strong>della</strong> neoscolastica<br />

Purtroppo l’influsso maritainiano nella neoscolastica italiana ha rafforzato, per quasi tutta<br />

la durata del XX secolo, il potere dei pregiudizi trasmessi dalla cultura risorgimentale al<br />

Novecento. Non stupisce dunque che il corollario <strong>della</strong> <strong>filosofia</strong> risorgimentale sia stata la<br />

capitolazione cattolica davanti a quel gramscismo – Gentile retrocesso a Spaventa e<br />

assoldato dal nuovo principe - che è finalmente ridotto al ciondolamento sulla gondola<br />

apocalittica di Massimo Cacciari. In uno scenario languido, da “Morte a Venezia”.<br />

Le riserve sull’opera vichiana, un tempo assai forti, sono finalmente cadute dopo la chiara<br />

presa di posizione di Cornelio Fabro, che ha posto fine all’equivoco, riconoscendo i meriti<br />

antimoderni e l’ispirazione autenticamente umanistica di Giambattista Vico.<br />

Il giudizio di Fabro è inequivocabile e definitivo: “Il grande Vico acerrimo nemico di<br />

Cartesio e dell’ateismo illuministico, si muoveva, nella sua Scienza Nuova, in senso<br />

sicuramente contrario, con la tesi del progresso dei popoli e del loro incivilimento: in<br />

mezzo a tutte le aberrazioni fa capo a Dio reggitore dell’universo e testimonia la sua<br />

presenza nel progresso ascendente che l’uomo fa dalla barbarie del bestione verso gli<br />

albori <strong>della</strong> civiltà” 182 .<br />

Ora Augusto Del Noce nel saggio postumo su Gentile, ha compiuto una svolta<br />

significativa, dimostrando in modo esauriente che dall’attualismo inizia la revisione <strong>della</strong><br />

<strong>filosofia</strong> risorgimentale. Nel “Suicidio <strong>della</strong> rivoluzione”, Gentile era ancora giudicato<br />

inferiore a Croce e considerato alla stregua di un notaio del nichilismo. La <strong>filosofia</strong><br />

attualistica, infatti, era definita preambolo solipsistico ad Heidegger. Ma nel saggio postumo<br />

su Gentile la prospettiva è cambiata. Del Noce (finalmente in sintonia con Michele Federico<br />

Sciacca, che proprio da Gentile era stato messo sulle tracce di Rosmini, l’occasione <strong>della</strong><br />

sua conversione) dedica una speciale attenzione all’altro Gentile, il filosofo che, pur<br />

181<br />

Sulle disavventure degli interpreti vichiani cfr.: <strong>Piero</strong> <strong>Vassallo</strong>, “Vico senza vichismi”, La Quercia, n. II,<br />

gennaio 1975.<br />

182<br />

Cfr. la rivista “Humanitas”, 1991. In precedenza il card. Giuseppe Siri aveva rettificato il giudizio fortemente<br />

critico su Vico frettolosamente esposto in “Getsemani”.<br />

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