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Piero Vassallo “La restaurazione della filosofia ... - Maconi, Antonio

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Aristotele, <strong>della</strong> conversio ad phantasmata in tutto l’ambito del conoscere,<br />

compresa la metafisica e la morale” 209 .<br />

La divergenza si approfondisce quando Fabro, analizzate scrupolosamente le tesi<br />

dell’ontologia rosminiana, afferma che Rosmini “ignora e tutta la sua concezione<br />

respinge la tesi tomistica corrispondente cioè la distinzione reale di essentia ed esse<br />

(actus essendi) nelle creature, secondo la quale l’esse è partecipato ossia causato<br />

da Dio e ricevuto come atto primo nell’essenza come potenza reale <strong>della</strong> creatura.<br />

Invece per Rosmini gli enti sono bensì molti, ma l’essere in tutti è unico: «Questo<br />

qualcosa di comune (tra Dio e le creature) non è e non può essere che l’essere,<br />

perché, come ancora insegna S. Tommaso: Res autem quaelibet secundum quod<br />

habet esse, accedit ad similitudinem Dei» (Rosmini cita C. Gent. III, 977). E<br />

sentiamo ora il punto essenziale del commento: «In questa maniera non è<br />

propriamente la natura degli enti finiti, che comunichi con Dio, ma qualche cosa di<br />

distinto dalla loro natura, con cui questa natura ha solo una relazione di<br />

dipendenza. .. però l’essere non entra nella loro definizione se non come la<br />

causa che li fa esistere» 210 .<br />

A questo punto Fabro è legittimato ad affermare che il commento rosminiano può<br />

dare l’illusione di essere tomistico, in realtà è l’antitesi del tomismo, perché la<br />

natura o essenza delle cose è per l’Aquinate divinam quoddam, che ha in Dio il<br />

principio esemplare e proviene da Dio che la crea come potenza recettiva dell’esse.<br />

Fabro conclude il suo discorso critico, affermando che è impossibile non riconoscere<br />

che la creatura comunica con Dio anche grazie alla sua essenza: nel pensiero di san<br />

Tommaso l’actus essendi ha con l’essenza una relazione di composizione reale e non<br />

di dipendenza poiché ambedue simul et pariter, l’essenza finita e l’atto d’essere,<br />

dipendono da Dio 211 . Ora la conclusione, di Fabro, peraltro coincidente con la linea<br />

del Magistero romano (da Pio IX a Giovanni Paolo II), non significa che si debba<br />

rifiutare e condannare in blocco l’opera di Rosmini. Fabro non ha mai suggerito la<br />

criminalizzare degli autori nei quali pensieri eterodossi (ed eterodossi in quanto<br />

fragili) sono mescolati a intuizioni geniali. Il suo ingente lavoro d’interprete<br />

kierkegaardiano, cioè studioso di un autore del quale egli aveva catalogato le<br />

numerose tesi erronee, non sarebbe stato possibile se egli avesse nutrito pregiudizi e<br />

idiosincrasie. Più semplicemente significa che la lettura di Rosmini è utile soltanto<br />

per chi usa abbondantemente il sale <strong>della</strong> critica e, nel diffonderlo, predilige la guida<br />

sicura di san Tommaso.<br />

209 Ibidem.<br />

210 Id., id., pag. 250.<br />

211 Ibidem.<br />

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