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Piero Vassallo “La restaurazione della filosofia ... - Maconi, Antonio

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Dalle lezioni di Trendelenburg, Acri aveva ricavato la chiave di un’animosa e originale<br />

lettura post-hegeliana di Aristotele. Di qui l’audace tentativo di correggere (e adattare alla<br />

metafisica aristotelico-tomista) l’eredità platonica conservata, nonostante tutto,<br />

dall’idealismo hegeliano. Di là dei risultati, in questa intenzione si deve apprezzare la<br />

disposizione eminentemente cattolica e tomistica ad apprezzare e raccogliere i frutti <strong>della</strong><br />

ricerca condotta dai non cattolici.<br />

In vista di questa ambiziosa strategia, che, nelle contraddizioni hegeliane, contemplava<br />

l’occasione per rivitalizzare il platonismo, Acri approfondì, interpretandolo a suo modo,<br />

l’assioma (d’impronta platonica), che è esposto nel III libro del “De anima” di Aristotele:<br />

“Del principio dello scibile non c’è scienza, non arte, né prudenza cioè scienza pratica e<br />

rimane che ci sia sola intelligenza”.<br />

Acri utilizzò questa definizione aristotelica per elaborare un’audace teoria dell’intelletto<br />

agente, teoria che si discosta da quella tradizionale <strong>della</strong> scolastica: “L’intelletto attivo sé<br />

intuisce, e in sé i primi princìpi intuisce <strong>della</strong> scienza speculativa e pratica, perocché essi<br />

non sono obbietto di ragionamento; e li contiene nella virtù sua, cioè nella relazione di Sé<br />

con sé stesso” 7 .<br />

Lungo questo accidentato cammino, l’incontro con le oscurità e le aporie di Rosmini era<br />

però inevitabile. Acri ha celebrato la (precaria) convergenza di Rosmini con l’ortodossia<br />

scolastica, forzando il significato di una tesi, che san Tommaso aveva formulato in gioventù<br />

e rettificato in età matura: “Come dice Avicenna nel II <strong>della</strong> Metafisica, così egli [san<br />

Tommaso] dice «Quello che l’intelletto concepisce quasi notissimo e in cui tutte le<br />

conoscenze risolve, quello è l’Ente» (De Veritate nel corpo dell’art. 1). E tutte le altre<br />

concezioni si ricevono per addizioni all’Ente. Ma all’Ente non può aggiungersi (mentre<br />

scrivo questo mi viene in mente Rosmini) non può aggiungersi alcun che quasi estranea<br />

natura, in quel modo che si aggiunge la differenza al genere o l’accidente al subbietto” 8 .<br />

La conclusione necessaria è che “l’intelletto agente ha in sé l’idea dell’Ente con i modi suoi<br />

universali, altresì ha in sé i principii che divengono da essa idea, cioè quelli di<br />

contraddizione e di causalità” 9 .<br />

E poco più avanti, quasi con l’intenzione di confermare la sua piena adesione alle tesi di<br />

Rosmini, Acri precisa che “l’idea di Ente comune, prima che illumini i fantasmi, illumina<br />

l’intelletto, e per esso l’anima, dove tutti i fantasmi sono come quelli di uno” 10 .<br />

Ora è evidente che la sequela delle tracce rosminiane conduce ad un punto morto, dove,<br />

nel migliore dei casi, si può ottenere il risultato esibito da Michele Federico Sciacca, cioè la<br />

revisione (la moderazione) delle tesi estreme di Rosmini, e il riconoscimento (fermo<br />

restando l’irreversibile giudizio sulla gratuità filosofica delle tesi innatistiche), che è lecita<br />

l’accettazione <strong>della</strong> <strong>filosofia</strong> prodotta da questa operazione di setaccio 11 . Sciacca, infatti, fu<br />

ridonandogli il pieno senso del valore <strong>della</strong> sua attività creatrice libera dagl’impedimenti delle astrazioni<br />

materialiste”. Cfr. “Il valore degl’ideali”, Zanichelli, Bologna 1946, pag. VII-VIII.<br />

7<br />

“Della cognizione secondo san Tommaso e Aristotele”, op. cit., pag. 21.<br />

8<br />

Id., id. Pag. 33.<br />

9<br />

Id., id. Pag. 35.<br />

10<br />

Id., id., pag. 36.<br />

11<br />

La formula faticosamente elaborata da Sciacca per chiarire l’ortodossia del pensiero rosminiano afferma che<br />

“l’essere è presente alla nostra mente, è oggetto di essa e per ciò l’essere ideale è immanente nell’uomo, non<br />

come pura funzione <strong>della</strong> mente, bensì come oggetto inuito; immanenza che è presenza e dunque trascendenza”.<br />

Cfr. “Interpretazioni rosminiane”, Marzorati, Milano 1963, pag. 79.<br />

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